Oggi vi parlo di un libro letto diversi anni fa: di Tolstoj ho amato Anna Karenina, ho ancora in programma di leggere Guerra e Pace (o meglio, finirlo: ho letto due tomi di quattro, ma a questo punto, dato che sono passati all’incirca quindi anni, direi che dovrà ricominciare dall’inizio).
Comunque, io adoro i russi, il loro modo di scandagliare l’animo umano con le capacità di uno psicologo. Quello che vi propongo di leggere oggi è un libro molto sottile, ma che potrà darvi un assaggio delle capacità di Tolstoj di descrivere la natura umana. Come sempre vi avviso che ci sono degli spoiler.
Autore: Lev Tolstoj
Titolo: Sonata a Kreutzer
Editore: Einaudi
Acquista: ebook | cartaceo
É difficile per me accettare l’idea che un libro così crudo, terribile, con idee sessiste, fortemente religiose, possa essermi piaciuto così tanto. Perché, dunque, è accaduto?
La storia si svolge durante un viaggio in treno: il punto di vista è quella di un uomo di cui non conosceremo mai l’identità né il nome, costui assiste a una discussione tra alcune persone, fra cui un uomo di nome Vasja Pozdnyšev e una donna. Tema del discorso è l’amore: la donna sostiene che l’amore (e dunque il matrimonio) sia fondato sulla comunione di ideali, Pozdnyšev ne ha una visione nettamente contraria. A un certo punto il narratore sconosciuto si ritrova solo nello scompartimento con Pozdnyšev, che inizia a raccontargli la sua storia. La storia di un matrimonio fatto di convenzioni, ipocrisie e sospetti.
In La sonata a Kreutzer di Lev Tolstoj i rapporti umani sono strani, eterei, variabili: fanno paura, annoiano, diventano l’unico motivo per cui vivere o l’unico motivo per uccidere. In questo romanzo, Tolstoj ci parla di un amore che si nutre di illusioni, di miraggi immacolati, di un’idea irraggiungibile di perfezione che conduce ineluttabilmente all’assassinio e alla morte, quando ogni illusione viene distrutta.
Se l’amore non fosse così perfetto, così puro nella mente degli uomini, non si proverebbe il dolore della scomparsa, con La sonata a Kreutzer visitiamo le tappe più crudeli del declino di una storia d’amore: l’inconsapevolezza, la pura sofferenza causata dalla discrepanza tra desiderio e realtà, quando il dolore è ancora camuffato e si stenta a comprenderlo; il silenzio, l’ombra che separa insofferenza e realtà, l’attimo in cui si manifesta la fine di una storia che vive solo della reciproca indecisione. E alla fine, la fredda consapevolezza e quindi la morte dell’amore che porta all’omicidio, nel caso del protagonista.
Breve, profondo, tagliente come una lama, come solo i grandi libri sanno essere, di una bellezza dolorosa e affascinante, rassegnata e brutale com’è l’amore, com’è a volte la vita. Qualcuno ha definito quest’opera misogina, arretrata, permeata di un moralismo estremo frutto della svolta religiosa di Tolstoj. Non sono d’accordo, o meglio: è vero che troverete una pesantissima morale cristiana, elementi sessisti e un’idea dell’amore non certo moderna, ma la verità è che ciò che rende grande questa storia è il racconto accurato della discesa negli inferi di un uomo qualsiasi nella propria monomania, la perdita del senso del reale a favore delle proprie, deliranti, costruzioni mentali. Deliranti, appunto, ma profondamente umane.
Questa non è la storia di un tradimento, ma del sospetto. É la storia della fine di un matrimonio raccontata da un uomo che non credeva nel matrimonio ma che, nonostante le proprie idee estreme, è riuscito a raccontare la natura umana (o almeno una parte di essa) talmente bene da far dimenticare l’idea da cui nasce tutto.
Non è semplicemente la storia di una persona che torna a casa, trova la moglie a letto con l’amante e la ammazza. É la storia di un uomo che si è costruito la propria delirante certezza e in base a questa arriva all’omicidio. Del tradimento, in sé, non sappiamo nulla: sappiamo, invece, cosa accade nella testa del protagonista. La cosa interessante è come Tolstoj descrive questo processo: preciso, affilato e crudele come un coltello, con una verità così dolorosa da far venire i brividi.