La storia inizia con la nascita di un bambino, un bambino sano, la cui madre si chiama Amal ed è israeliana. Questo gioioso evento, secondo la madre, la nonna e la bisnonna di Amal, spezza l’antica maledizione che ha colpito le donne della sua famiglia. Di quale maledizione si tratta? Con un linguaggio poetico e immediato, perfino crudo, Shifra Horn in Quattro madri, edito Fazi, racconta una storia tutta al femminile, intrisa di realismo magico, ma anche di psicologia, che è un modo meraviglioso per viaggiare nelle profondità dell’animo femminile, in una società fortemente maschilista ma che non può impedire la nascita di donne meravigliosamente forti e, forse proprio per questo, sole. Ecco la mia recensione!
Titolo: Quattro madri
Autore: Shifra Horn
Editore: Fazi
Serie: Autoconclusivo
Genere: narrativa contemporanea
Data di pubblicazione: 21 giugno 2018
Pagine: 369
Prezzo: 14,87 € | 9,99 €
Link d’acquisto: cartaceo | ebook
La storia di quattro generazioni di donne, a Gerusalemme, raccontata dal punto di vista dell’ultima donna ad aver partorito un figlio, in famiglia: Amal, che ha appena ricevuto in eredità dalla sua bisnonna una serie di foto scattate da un certo Edward, il suo grande amore. Le foto sono una traccia, per Amal, che la guida in un viaggio di scoperta alla ricerca di suo padre, delle radici della sua famiglia, attraverso la vita, i dolori, le perdite e la storia delle sue donne. Shifra Horn ci porta in un mondo fatto di simboli antichi, sangue e carne, un mondo estremamente tangibile, che profuma di spezie ma anche di sudore, illuminato dal sole cocente e spazzato da venti impietosi. Il mondo di quattro donne, le loro radici, gli affetti, le sconfitte, la forza, le lacrime.
E chi sono queste donne?
Mazal l’orfana, il cui matrimonio colpito dal destino dà inizio alla maledizione che vede ogni donna della famiglia partorire una femmina dovendola poi crescere da sola in seguito all’abbandono da parte del padre; sua figlia Sarah, i cui splendidi capelli biondi sono assieme segno di potere e solitudine; la figlia di Sarah, Pnina-Mazal, la cui straordinaria capacità di percepire i pensieri altrui le porterà gioie e dolori; e, infine, la figlia di Pnina-Mazal, Gheula, madre di Amal, la cui intelligenza è assieme un dono e una maledizione.
La storia di Mazal è solo un’introduzione per condurre il lettore nel cuore di questa famiglia di donne destinate a restare sole: la maggior parte del romanzo, infatti, è dedicato a Sarah dai lunghi capelli color oro, la donna più bella di Gerusalemme, desiderata da tutti e anche per questo sfruttata e spesso torturata dalla gente. Sara, dopo aver sposato Avraham (Abramo) e aver partorito Yitzhak (Isacco), bambino affetto da un grave ritardo mentale, accetta di seguire il marito all’estero, dove questi dovrà prendersi cura del padre malato. In America, lontana dai suoi affetti e preda di una suocera cattiva e invadente, che riesce a separare marito e moglie, Sarah è infelice. Così, dopo aver partorito una bambina che chiama Pnina (come la suocera) ma segretamente Mazal (come sua madre), Sarah prende i suoi figli e fa ritorno a Gerusalemme, senza suo marito. Ed è a questo punto che la storia inizia davvero. Sulla nave che la riporta a casa, Sara incontra il fotografo americano Edward: nasce un amore che li accompagnerà per tutta la vita, tra alterne vicende, e che documenterà tutte le fasi della storia di questa famiglia.
Gli uomini sono quasi del tutto assenti dalla storia, la scelta di Shifra Horn è voluta: le conseguenze delle loro azioni e il riflesso della loro presenza si sente, forte e chiaro, ma l’autrice sceglie di farli svanire dalla scena, esattamente come questi uomini hanno fatto con le loro donne.
Gerusalemme, coi suoi profumi, le voci nelle strade, la polvere e le tradizioni, è uno sfondo affascinante e ricco di luci e ombre, perfetto per raccontare una storia di un crudo pragmatismo e seducente realismo magico alla Garcia Marquez, in cui l’amore, ma soprattutto l’eros, è il vero motore. L’autrice dà moltissima importanza al corpo delle donne, all’erotismo, al fuoco della passione. Le donne sono, sembra dire Shifra Horn, condannate a provare di più degli uomini, sono soggiogate da leggi che impediscono loro di soddisfare desideri naturali, sono prigioniere di routine maschiliste, ma quando si liberano, quando si concedono di sentire liberamente, le catene si spezzano, i muri crollano. Le donne di questa storia amano, piangono, vivono per i loro figli e per gli spazi vuoti lasciati dai loro uomini, ma sanno trovare in quei vuoti il posto che spetta loro e, quando finalmente lo occupano, diventano invincibili e fanno paura.
Lo stile è scorrevole, immediato, fa uso di periodi lunghi, ricchi di metafore, simbolici, pieni di riferimenti alla tradizione, ma mai oscuri: Shifra Horn descrive sentimenti umani, reali e lo fa senza mezze misure, usando parole dirette. Anche l’erotismo è immediato, naturale, primordiale, direi: l’autrice non si concede inutili parafrasi, va dritta al dunque e riesce a essere poetica e allo stesso tempo spietata. La maggior parte della storia è raccontata, quindi i dialoghi sono davvero pochi, ma non è appesantita da un linguaggio tronfio e autoreferenziale, anzi.
Della storia mi è piaciuta la struttura, adoro le saghe familiari e l’idea di questo viaggio “fotografico” in quattro generazioni di donne l’ho trovata perfetta, molto bello anche lo stile. Ho adorato la storia di Mazal, Pnina-Mazal e di Gheula, i personaggi che mi hanno interessato meno sono, paradossalmente, quelli principali: Amal, che racconta la storia, e Sarah, a cui è dedicata la maggior parte del libro. Di Amal sono riuscita a percepire davvero poco, mentre su Sarah mi sarei soffermata molto meno.
Il libro è consigliato a chi ama le storie di donne forte e consapevoli, a chi adora i libri di Garcia Marquez, perché vi troverà echi e omaggi, a chi vuole respirare un’atmosfera esotica, calda, polverosa, speziata, venata d’erotismo e passione ancestrale.
È nata nel 1951 a Tel Aviv e vive a Gerusalemme. Dopo aver concluso la Hebrew University laureandosi in studi biblici e archeologia, ha proseguito la formazione approfondendo anche l’ambito della comunicazione di massa e ottenendo un diploma per l’insegnamento. Negli anni universitari è stata funzionario didattico per l’Unione Mondiale degli Studenti Ebrei, coordinando la campagna per salvare gli ebrei etiopi e farli tornare in Israele. Ha trascorso cinque anni in Giappone come corrispondente dall’Estremo Oriente per il quotidiano «Maariv». Autrice pluripremiata di fama internazionale, con Fazi Editore ha pubblicato Quattro madri (2000), La più bella tra le donne (2001), Tamara cammina sull’acqua (2004), Inno alla gioia (2005), Gatti (2007) e Scorpion dance (2016).