La bellezza salverà il mondo.
Inizio da quella che è la citazione più famosa de L’Idiota e, credo, di tutto Dostoevskij. È una frase potente e bellissima, che sembra nata per essere una citazione e come spesso accade con le citazioni, è stata anche in parte travisata, come sto per raccontarvi. Prima, però, qual è la trama de L’Idiota?
L’Idiota è un classico noto, credo, anche ai sassi, ma se non volete rovinarvi la sorpresa, saltate la lettura della trama perché parlo anche del finale.
La trama de L’Idiota
Il principe Myskin è un uomo di 26 anni malato di epilessia che ha trascorso buona parte della sua giovane esistenza ricoverato in una clinica in Svizzera. Economicamente in disgrazia, adesso sta tornando in Russia, per andare a trovare una vecchia zia da cui dovrà ricevere la sua eredità. Durante il suo viaggio in treno conosce Parfën Rogòžin, figlio di un ricco mercante, che gli parla della sua vita e del suo amore per la bellissima Nastasia Philippovna e Lebedev, un funzionario, rappresentante di quella classe di uomini viscidi e servili nei confronti dei nobili e dei ricchi.
Giunto a San Pietroburgo, Myskin va subito a trovare la zia da cui dovrebbe ereditare, che è sposata con il generale Epančin e ha tre bellissime figlie: Aleksàndra, Adelaìda e Aglàja, quest’ultima la più giovane e la più bella di tutte. A casa Epančin, Myskin conosce anche il segretario del generale, Gavrila, che gli mostra il ritratto della donna che Gavrila stesso dovrà – suo malgrado – sposare: proprio la Nastasia Philippovna di cui Rogòžin è innamorato. Suo malgrado, sì, perché in realtà Gavrila è innamorato di Aglàia.
Nastasia ha perso tutto in un incendio da bambina, è stata salvata dal benefattore Afanàsij Ivànovič Tòckij, che l’ha ospitata nella sua tenuta, dove andava a trovarla ogni estate. A sedici anni, accortosi dell’immensa bellezza di Nastasia, Tòckij la rende sua amante per poi abbandonarla. Nastasia ora è a San Pietroburgo e pretende di vivere a spese dell’ex amante, che nel frattempo vorrebbe sposarsi. Per farlo liberamente, senza il pericolo che Nastasia si metta in mezzo, deve liberarsene: così Tòckij decide di farla sposare a Gavrila, che per il sacrificio di dover prendere in moglie una “donna perduta”, verrà ricompensato con del denaro. Questa è la storia di miseria e dolore della bellissima Nastasia, che la vita ha reso cattiva (e possiamo intendere la parola nella sua accezione originale, dal latino captivus ‘prigioniero’. Nastasia è, infatti, prigioniera dell’ingiustizia umana e sociale.)
Ovviamente, una persona oggetto di una tale ingiustizia e di così tanto dolore, una donna “perduta”, non può che suscitare la pietà del nuovo Cristo, Myskin (“Beati gli afflitti, perché saranno consolati”, Vangelo secondo Matteo 5:4), pietà che, nella sua forma più pura, è superiore perfino all’amore. Il principe, infatti, s’innamora di Aglàia (ricambiato), ma quello è un amore sano, che conduce alla felicità, mentre l’amore che il principe prova per la sfortunata Nastasia è figlio del dolore, viene dalla pietà, ed è destinato a trionfare sull’altro: questo perché il principe è così “idiota” da sacrificare il suo bene (e anche quello di Aglàia), per quello di Nastasia, un’anima persa e bisognosa del sostegno dell’unico che desidera davvero salvarla.
Perchè non può aiutare Nastasia e amare ugualmente Aglàia? Perchè il principe è un uomo buono davvero, e la bontà non è mai a mezzo servizio, implica un’abnegazione totale: per salvare Nastasia, Myskin sa che deve sposarla (Nastasia lo ama, ma ha rinunciato, generosamente a lui, perchè sa che il loro matrimonio rovinerebbe il principe), cioè dedicarsi unicamente a lei, non può coinvolgere in questo progetto Aglàia, non è giusto. La ragazza, bellissima e forte, intelligente e sana, se la caverà: ha amici, lei, a differenza di Nastasia.
Il tentativo di Myskin di salvare Nastasia e, al contempo di redimere il folle Rogòžin, di amare Aglàia e di portare pace e comprensione nella corrotta società pietroburghese finirà male.
Questo è solo l’accenno a una storia che via via si arricchisce di nuovi personaggi che intrecciano legami complicati gli uni con gli altri, una trama che Dostoevskij utilizza con l’obiettivo – difficilissimo – di tratteggiare la figura di un uomo completamente buono, un nuovo Cristo.
Mentre scrive L’Idiota, Dostoeskji è oppresso dai debiti e malato di epilessia, è un uomo disperato che scrive un romanzo sulla speranza, sulla possibilità di salvare il mondo attraverso la bellezza, una speranza debole e fragilissima, come vedremo, ma che esiste. L’ispirazione per il suo personaggio gli viene dall’osservazione del quadro del 1521 di Hans Holbein il Giovane, Il corpo di Cristo morto nella tomba: un Cristo cadavere, in attesa della Resurrezione, con evidenti segni di decomposizione sul corpo (si dice che il pittore si sia servito di un cadavere ripescato da un fiume come riferimento per la sua opera).
Un’immagine ben lontana dalla gloriosa magnificenza del divino, ma che sottolinea la sofferenza e l’amore che Cristo, attraverso la Passione, ha donato all’Umanità, salvandola. Ancora una volta (come in Delitto e Castigo), per Dostoevskij, il Bene giunge attraverso il tragico cammino della sofferenza. Anche in questo c’è Bellezza, per lo scrittore?
Quale bellezza salverà il mondo?
Torniamo, quindi, alla citazione con cui ho iniziato. La bellezza salverà il mondo. Intanto, ecco la vera frase:
È vero, principe, che una volta avete detto che il mondo sarà salvato dalla bellezza?
Prima di tutto, non è direttamente il principe Myskin, il protagonista (“l’idiota”) del romanzo a pronunciare la frase, ma un personaggio secondario, Ippolìt, un ragazzo gravemente malato di tisi e prossimo alla morte, che riferisce le parole del principe con tono sarcastico e quasi rabbioso. Ippolìt è giovane e sta morendo, come potrebbe mai avere fiducia nella bellezza e, soprattutto, perché mai dovrebbe sperare nella salvezza del mondo?
In secondo luogo la costruzione della frase (in originale: “Mir spasët krasotà“) pone l’accento non su krasotà (la bellezza) ma su Mir (il mondo). Dunque, una traduzione più fedele suonerebbe più o meno come: il mondo sarà salvato dalla bellezza. L’importanza del concetto di “bellezza”, insomma, anche strutturalmente diminuisce: è il termine “mondo” la parola su cui si concentra l’attenzione dell’autore e dei suoi lettori.
Questo, per dire, che Dostoevskijnon sta affermando che è la bellezza, nell’accezione che conosciamo noi lettori moderni, che salverà il mondo, ma sta facendo dire a un personaggio disilluso, in tono sarcastico, qualcosa che, tradotto, suona più o meno così: “ma è proprio vero che avete detto (che idiozia) che questo schifoso mondo sarà salvato da una cosa banale e superficiale come la bellezza?”.
In ogni caso, la parola che più di tutte colpisce (e che è molto cara a Dostoevskijperché la ritroviamo spesso nella sua opera) è sicuramente la bellezza. E allora bisogna chiedersi: cos’è la bellezza per Dostoevskij? Non un concetto assoluto, facilmente decifrabile, sicuramente non solo la bellezza fisica, che appartiene al sistema dell’apparente.
Sempre ne L’Idiota troviamo questa frase, riferita ad Aglaja Epancin.
È così bella che fa paura guardarla.
Per Dostoevskij la bellezza non è soltanto qualcosa che può salvare il mondo, ma anche qualcosa che fa paura. È un enigma, come afferma proprio il Principe Myskin, qualcosa che crea stupore e anche sconcerto, una visione talmente alta e complessa, indecifrabile, appunto, che l’uomo, piccolo e privo di quella complessità, non può che esserne turbato.
Ma torniamo al tipo di bellezza che può salvare il mondo. Parlando della bellissima Nastasia Philippovna, l”altra” donna cui il principe Myskin si ritrova legato, egli afferma:
Ah, se fosse anche buona! Sarebbe la salvezza!
Dunque, affinché la bellezza possa avere potere salvifico è necessario che sia unita alla bontà (“kalos kai agatos”, dicevano i Greci, bello e buono, per riferirsi all’Eroe perfetto). La Bellezza si deve unire al Bene, altrimenti potrebbe addirittura causare l’effetto contrario: la rovina del mondo intero.
Con una simile bellezza si può rovesciare il mondo!
Ne L’Idiota, il principe Myskin rappresenta una bellezza che è bontà d’animo, nobiltà interiore, che presuppone anche una forte inclinazione per il sacrificio, cioè la capacità di anteporre il bene altrui al proprio, che è il più alto concetto d’amore. Questo mi richiama alla mente Jacques Lacan, filosofo e psicanalista francese dei primi del ‘900, che definiva così l’amore:
Amore è dare all’altro quello che non si ha.
Un dono di questo tipo è difficile e richiede impegno, sofferenza, rinuncia ai propri bisogni, coraggio: per chi crede (e Dostoevskij era un credente profondo), è il dono che Cristo fa all’Umanità, lasciandosi crocifiggere per i peccati altrui. E il principe Myskin, un nuovo Cristo, agisce secondo lo stesso principio di coraggio, rinuncia e disinteressato amore per il prossimo che lo farà apparire un “idiota” agli occhi degli altri ma che, per Dostoevskij, è la sola speranza di salvezza.
Dunque, la bellezza di cui parla lo scrittore non è una bellezza fisica, ma interiore, una sorta di kalokagathia in salsa cristiana: è la purezza nonostante il male nel mondo, è la bellezza disinteressata e pronta al sacrificio, in altre parole, è la bontà al suo grado massimo di splendore.
Ma non finisce qui. La visione stessa del bene è salvifica, scatena sentimenti positivi, la bontà può essere emulata, in questo senso, dunque, essa è capace di salvare il mondo.
Non salverà certo il mondo personale di Myskin, che, come Cristo, è un capro espiatorio, ma quello del popolo russo contemporaneo a Dostoevskij sì (lo scopo dello scrittore è sempre quello di offrire un insegnamento e una via per il miglioramento ai suoi connazionali).
Perché Myskin è un idiota?
Dostoevskij lo definisce tale con un senso di frustrazione e sconforto nei confronti della società: Myskin è troppo buono, troppo perfetto per questo mondo, talmente diverso da tutti che per la maggior parte delle persone che lo incontrano è solo un idiota, qualcuno che pur di fare il bene rinuncia al proprio, un’idealista diremmo oggi, dotato di altissimi ideali ma pochissimo pragmatismo.
Per Dostoevskij, però, questo è il tipo di “idiota” che avrebbe il potere di rendere il mondo un luogo migliore, ma finché il mondo non sarà pronto a seguirne l’esempio, la storia sarà un susseguirsi di salvatori crocifissi per un bene superiore che la maggior parte della gretta Umanità continuerà a insultare o, nella migliore delle ipotesi, a ignorare.
In qualche modo, ricorda il Mr. Rosewater di Perle ai porci di Kurt Vonnegut: un multimiliardario che vuol dare i suoi averi in beneficenza perché non sopporta l’ingiustizia diviso in ricchi e poveri, ma la gente pensa che sia matto e la sua famiglia vuole farlo internare.
La bontà, insomma, è per lo più incompresa. Quando va bene, è scambiata per idiozia, quando va male, è l’anticamera del martirio.
Dostoevskij e il teatro tragico greco
Andando, forse, oltre le stesse ambizioni dell’autore, un identico sentimento di bellezza salvifica può trasmettersi ai lettori di oggi: come accade per il teatro tragico greco, la visione della bontà pura, del sacrificio e del dolore del principe Myskin provoca una catarsi, un processo di purificazione capace di elevare a uno stato di bellezza superiore. Commuoversi e provare sconcerto o pietà per quel che accade ai personaggi de L’Idiota è un altro modo di migliorare come esseri umani.
Credo che l‘opera di Dostoevskij abbia molti punti in comune col teatro tragico greco, sia per la struttura, i personaggi si muovono e agiscono come su un palcoscenico, sia per i temi: l’Amore, la Giustizia, il Dolore, la Pietà, il Conflitto Genitori-Figli.
E se per Eschilo era attraverso il dolore che si giungeva alla saggezza, pathei mathos, come si dice nell’Agamennone:
Zeus ha posto questo come legge possente: solo chi soffre impara.
così, allo stesso modo, ne L’Idiota di Dostoevskij, è attraverso il dolore che si giunge alla saggezza, alla bontà, al più alto, completo e profondo grado di bellezza possibile.
Interessante come sempre. Il concetto di bellezza assume dignità e una sorta di universalità stimolante, anche se in contraddizione con il mutare del significato della parola stessa nei suoni di chi la pronuncia. Mi viene spesso da pensare a come avrebbe letto il suo romanzo Dostoevskij.
Vero, la questione filologica è fondamentale, soprattutto per la letteratura russa. Grazie mille per aver letto!