“Quelli che vale la pena di amare veramente sono quelli che ti rendono estraneo a te stesso. Quelli che riescono a estirparti dal tuo habitat e dal tuo viaggio, e ti trapiantano in un altro ecosistema, riuscendo a tenerti in vita in quella giungla che non conosci e dove certamente moriresti se non fosse che loro sono lì e ti insegnano i passi i gesti e le parole: e tu, contro ogni previsione, sei in grado di ripeterli”.
Chiedi alla polvere, John Fante
Non lo so se sono esattamente d’accordo con questa visione – bellissima – dell’amore. Per me l’amore non è una questione di sopravvivenza, ma di corrispondenze e coincidenze. Se qualcosa si accende e corre dall’uno all’altro, in un momento e in un luogo preciso, in maniera irripetibile e – in gran parte – casuale e poi continua a spegnersi e ad accendersi, come le lucine di Natale, allora, per me, ha buone possibilità di chiamarsi amore.
Chiedi alla polvere, comunque, è uno dei miei libri preferiti sull’Amore in cui non c’è alcuna – reale – storia d’amore (e Arturo Bandini è il mio alter ego letterario).