Prendi questo valzer, questo valzer del “Ti amo per sempre”.
A Vienna ballerò con te
con un costume
con la testa di fiume.
Guarda le mie rive di giacinti!
Lascerò la mia bocca tra le tue gambe,
la mia anima tra le foto e i gigli,
e alle oscure onde del tuo andare
voglio, amore mio, amore mio, affidare
violino e tomba, i nastri di questo valzer.
Federico Garcia Lorca, il poeta della Generazione del ‘27 (con Pedro Salinas, Rafael Alberti, Luis Cernuda e gli altri), simbolo dell’edad de la plata, l’età d’argento della letteratura spagnola, cantore delle piccole cose e di quelle immense: la sua tristezza, la luna, il suono della chitarra, gli orologi, i tramonti, la notte, la guerra, i violini, il sangue e, soprattutto, l’amore, disperato e sensuale, sfiorato o vissuto totalmente.
Federico Garcia Lorca è uno dei primi poeti in lingua spagnola che io abbia mai letto (il primo è stato Neruda) e di certo il mio preferito, per la capacità di fondere oscurità e luce, sangue e amore, sensualità e morte.
Parlava di cose che fanno paura e ne parlava trattando quella paura con gentilezza. È possibile rivedersi nei tramonti che osservava, nella chitarra che amava, negli orologi che scandivano il suo tempo.
E la sua poesia gentile e umana faceva paura. I fascisti di Francisco Franco lo arrestarono e lo fucilarono il 19 agosto 1936, lo gettarono in una fossa comune, i suoi resti non furono mai ritrovati. La poesia, però, anche quella gentile, non può essere assassinata. I libri, anche quelli dati in pasto alle fiamme, sopravvivono (“i manoscritti non bruciano” diceva Bulgakov, vittima di un altro regime). Per chi si nutre di odio, per i vigliacchi che temono le idee e hanno orrore della bellezza, la poesia è lo specchio della loro stessa meschinità. Per tutti gli altri, è luce, un antidoto contro il Male.
(Il frammento che ho pubblicato, è stato tradotto in musica da Leonard Cohen. La dimostrazione che la vera Bellezza perdura nel tempo).