Dunque, ho letto l’articolo incriminato uscito sul Venerdì di Repubblica sul Rare Roma 2018, che ha scatenato l’indignazione di autrici, lettrici e blogger. Lo ammetto: volevo leggerlo perché avevo qualche pregiudizio. “Va beh, si starà esagerando, come al solito”, pensavo, memore del fatto che almeno due volte al mese un’autrice/lettrice/blogger s’incazza per qualcosa e se la prende con qualcuno. E invece ho dovuto ricredermi: la rabbia è giustificata da un articolo superficiale, spocchioso, sprezzante, sessista. Fallito anche l’intento ironico, quando il sarcasmo non lo sai usare, il risultato non può che essere disastroso: sono la prima a ridere, quando si usa in maniera intelligente l’ironia, anche per prendere in giro cose che amo. Non è questo il caso e, figuratevi, che non sono una gran lettrice di romance (anche se ne ho scritto uno perché, udite udite, raccontare l’amore è bello e mi piace!)
Chi è Paola Zanuttini e perché è controproducente insultarla
Paola Zanuttini, autrice dell’articolo, non è un Signor Nessuno. È una giornalista di Repubblica, autrice per Minimum Fax, si occupa da almeno vent’anni di cultura ed editoria. Insomma, se dobbiamo criticarla, meglio non farlo mettendo in discussione il suo curriculum. Sarebbe anche il caso di non citare, fra i capi d’accusa, una presunta vita sessuale di merda, se non altro per non ricadere negli luoghi comuni usati dalla giornalista per scrivere il suo articolo. Direi di analizzare, piuttosto, i fatti; perché anche una giornalista di lungo corso, una che i libri li conosce e conosce il mercato editoriale e che, udite udite, scopa con piacere e assiduamente, può prendere un’enorme e imbarazzante cantonata.
Che cosa è successo?
È evidente che, quando al Venerdì hanno deciso di scrivere un articolo sul RARE di Roma, le idee fossero essenzialmente due:
Il romance fa schifo, ma vende.
Dobbiamo vendere. Usiamo il romance.
L’occasione è stata il Rare, un evento di successo dedicato al romance, creato, che ha richiamato pubblico e che ha avuto risonanza sui social, grazie a un settore – quello del romance e sottogeneri – vivissimo proprio sui social network, dove autrici, lettrici e blogger hanno formato comunità floride, seguite, in cui si parla, ci si scambia pareri e, spesso, si tirano fuori lunghissimi flame (ebbene sì, ve lo dice una che coi social media ci lavora e vive: serve pure questo).
Detto ciò, è innegabile che i giornali siano aziende e le aziende necessitino di fatturare. I mezzi di comunicazione tradizionali, fra cui le riviste stampate come il Venerdì di Repubblica, non hanno ancora assorbito il contraccolpo causato dall’avanzata dei new media, sono inadeguati a raccontare la velocità con cui le cose accadono, non hanno il potere di condivisione che, invece, hanno i social. E però, in qualche modo, dovranno pur campare. Parliamo, si saranno detti in Redazione, di un argomento che va forte sui social. Buttiamoci a peso morto nel mare della cultura pop che più pop non si può, ma facciamolo mantenendo le distanze, perché il lettore-tipo del Venerdì vuole essere rassicurato: la cultura è per pochi, leggere libri è per pochi, siamo animali in via d’estinzione, i social network sono il male, e così via.
L’articolo sembra scritto proprio con queste intenzioni: un colpo al cerchio e una alla botte, insomma. Attiriamo l’attenzione con una copertina romance (all’acqua di rose, però: romanticismo sì, ma senza la “disdicevole” componente sessuale) ma parliamo male del romance, che è un genere di serie B, così le sciure e i professori di latino in pensione che leggono il Venerdì non si sentiranno oltraggiati (sì, questo è sarcasmo).
Ma andiamo all’articolo, vi sottolineo alcuni dei passaggi più odiosi:
Ingollare oltre duemila pagine di romanzi rosa in cinque giorni per prepararsi con scrupolo al Rare, il primo festival del romance sbarcato in Italia in un sabato d’estate, può alterare la percezione. Visioni, trasfigurazioni, forse allucinazioni. Così la sinuosa fila di lettrici che attendono di sciamare nello Sheraton per riverire una sessantina di scrittrici, per lo più americane, assume la forma di una processione, una di quelle processioni dell’Italia povera e contadina d’antan.
La premessa di Paola Zanuttini è prevenuta, suona come un’excusatio non petita: “Oh, mi c’hanno mandato, è lavoro, io non volevo andare, volevo restare a casa con Proust, ma sono stata costretta, ho perfino dovuto leggere quei ridicoli romanzi rosa che una volta si chiamavano Harmony, ma, figuratevi, che cosa sono oltre duemila pagine in cinque giorni, per una che, come me, conosce a memoria Tolstoj? Che impegno ci vuole per leggere oltre duemila pagine di peni e vagine che s’incontrano?”. Insomma, il vero problema è che questo articolo la fa sembrare un vecchio trombone, non una sagace opinionista.
Ora, probabilmente le duemila pagine lette da Paola Zanuttini facevano veramente schifo al cazzo, il punto è che restiamo col dubbio, perché l’autrice dell’articolo non entra nel merito, non non ci dice quali libri ha letto, manca l’oggetto dell’analisi, come manca qualunque elemento per giudicare l’evento Rare nel suo insieme. Non ci dice se l’organizzazione è stata buona o cattiva, ci parla confusamente di poverette dalla vita banale che nei libri cercano evasione, femmine in processione (non in fila) per ossequiare (non incontrare, proprio genuflettersi come invasate) altre femmine che hanno messo su carta i loro più pruriginosi sogni erotici. (Quanto è sessista tutto ciò? Soprattutto se detto da una donna?).
Notiziona a margine: nei romanzi non si cerca solo conoscenza ma anche e, soprattutto, evasione, in un romance come in un thriller, in uno storico come in un fantasy. E non c’è nulla di male, anzi. Se gli scrittori fossero più coscienti che la loro missione è principalmente “divertire” il lettore e non insegnargli a campare saremmo salvi da un bel po’ di noiosissimi e pretenziosi romanzi.
Vi cito Primo Levi, tratto dall’Altrui Mestiere, capitolo intitolato “Perché si scrive?”:
1) Perché se ne sente l’impulso o il bisogno.
2) Per divertire o divertirsi. [ INCREDIBILE! ]
3) Per insegnare qualcosa a qualcuno.
4) Per migliorare il mondo.
5) Per far conoscere le proprie idee.
6) Per liberarsi di un’angoscia.
7) Per diventare famosi.
8) Per diventare ricchi.
9) Per abitudine.
Ora, di certo chi scrive/legge romance non ha come fine ultimo quello di insegnare/imparare qualcosa sulle leggi dell’universo o dare una risposta alla alla domanda fondamentale sulla vita, l’universo e tutto quanto. È una scelta. I libri – udite, udite – sono anche puro intrattenimento, purché ben scritti. Come chi legge thriller – si spera – non ha come scopo quello di imparare a uccidere gente e sfuggire alla giustizia, ma sempre il caro, vecchio “divertissement”.
Paola Zanuttini, però, dà per scontato e senza fornire dati precisi – grave errore per una giornalista – che il genere romance sia spazzatura, che lettrici, autrici e blogger siano delle povere ignoranti represse, il che non è molto credibile anche da un punto di vista dell’analisi giornalistica, e lo dice una che non ha letto moltissimi romance. Devo anche dire che mi sono piaciuti pochissimi romance, la maggior parte erano libri scritti male, punto. Libri brutti. Libri che non meritavano di essere definiti libri, insomma, quello che volete. Il genere non c’entra nulla, perché potrei, parimenti, citare una montagna di fantasy brutti, di thriller orribili, di narrativa contemporanea imbarazzante.
E sapete qual è un’altra cosa che non c’entra assolutamente nulla? L’estrazione sociale di chi scrive/legge/recensisce romance.
Leggiamo un altro brano:
Originaria di Las Vegas, questa robusta signora immune da ogni civetteria [ che c’entra l’aspetto fisico? Sexism Alert ] si era trasferita con il marito militare in una piccola città della Virginia: noia mortale e depressione serpeggiante l’avevano spinta a cercare consolazione nella narrativa rosa shocking. La folgorazione, invece di stecchirla [ tentativo di sarcasmo fallito ] l’ha rinvigorita e le ha fatto lasciare il noioso lavoro nel ramo assicurazioni per diventare la patronessa del secondo più importante festival del romance negli Stati Uniti e uno dei cinque maggiori nel mondo [ Ah beh, hai detto niente ].
Si parla, lo avrete capito, di Amy Jennings, l’organizzatrice del Rare. Una donna che ha avuto un’intuizione felice, si è messa al lavoro e ha creato, dal nulla, un evento di successo, lasciando il lavoro precedente, sicuro ma noioso, e dedicandosi, invece, a qualcosa che ama. In storie femminili di imprenditoria, coraggio e rivalsa come questa il Venerdì di Repubblica (e in generale la carta stampata) di solito ci sguazza fino al vomito. Il problema, in questo caso, è che la donna-imprenditrice si è impegnata in un’attività che, per la giornalista, è ridicola. Quindi non conta il successo dell’evento (“secondo più importante festival del romance negli Stati Uniti e uno dei cinque maggiori nel mondo”), conta solo che la signora non si sia dedicata a salvare vite, aiutare i poveri, scoprire nuovi pianeti, ecc. [Sexism Alert anche qui, con una bella dose di classismo ]
By the Way: è un po’ come quando si prende per il culo Chiara Ferragni perché non sa fare niente e vive di frivolezza. Signore e signori, può non piacervi (io trovo ridicoli la maggior parte dei suoi outfit, per dire), ma la scoperta è che se quella frivolezza e quel “non saper fare” l’hanno resa milionaria, c’è poco da dire: i perdenti siete voi.
Karina, una bella signora bionda, giunonica, che firma autografi col bicchiere in mano…
Qui si parla, invece, di una scrittrice. Anche lei viene descritta come una casalinga alcolizzata della provincia americana negli anni ’50. Paola Zanuttini non ci dice quasi nulla dei suoi libri, del suo modo di scrivere, dei suoi personaggi. Cosa conta? Che sia una bella signora bionda e giunonica, praticamente una nonna Papera che si è messa in testa di scrivere libri. Tzè.
Ma passiamo alla maniera in cui la giornalista affronta il tema dei blog:
Nella decadenza generale della critica letteraria hanno preso piede i blog. E, nel caso del romance, schifato dai recensori ufficiali, hanno potere di vita e di morte. […] Al Rare incontro tre blogger: Vanessa, neurologa di 47 anni, Sara, 40 anni, moglie di un rapper e Karin, 37 anni, tabaccaia.
Anche qui, sessismo e classismo come se piovesse: le tre blogger sono identificate col nome, la professione (per sottolineare che non hanno una laurea in giornalismo, una addirittura viene definita “moglie di”) e l’età (per evidenziare la disperazione di donne adulte che invece di fare altro, si dedicano ad attività risibili).
Esiste sicuramente un problema per quanto riguarda i blog (ho in programma di scrivere un post): molti sono sciatti, gestiti male, con contenuti tutti uguali, capacità di recensire e parlare di libri pari a zero, italiano discutibile e chi più ne ha più ne metta. Il problema, però, è sempre parlare fornendo dati, argomenti, analisi. Paola Zanuttini avrebbe dovuto dare il nome dei rispettivi blog, non “i titoli” delle blogger. Avrebbe potuto parlare, ad esempio, dell’ignoranza di alcuni sedicenti book blogger, che non sanno cosa sia un impianto narrativo. Inoltre, avrebbe dovuto informarsi sul fenomeno dei blog: vale esattamente lo stesso discorso fatto per le laureate in moda che criticano la Ferragni. Esistono blog di ragazzi giovani che spostano le opinioni, sono seguiti e influenzano le vendite: cosa dovrebbero fare le Case Editrici, rifiutare la loro esistenza in quanto professionisti non accertati da un titolo? Per favore.
Questa narrativa conservatrice – però democratica, non repubblicana, mi garantiscono le americane – mantiene tutti i cliché del rosa, ma scarta nel postmoderno con l’avvento del sesso esplicito e con l’aggiornamento del linguaggio: dialoghi che sembrano rubati da WhatsApp e ironica forzata, un po’ scemetta.
Anche se detto in maniera pedante, i problemi che ho riscontrato io in parecchi romance sono proprio questi: 1) narrativa essenzialmente conservatrice, 2) dialoghi che non contengono alcun filtro letterario ma sono spesso copiati pari pari dal linguaggio da chat (serie di puntini esclamativi e abbreviazioni comprese) e 3) ironia forzata, la cosa che forse detesto di più (quando i personaggi fanno battute che dovrebbero essere brillanti ma fanno ridere solo loro e l’autore del libro). Detto ciò, sono problemi, questi, che si trovano in parecchi romanzi: si tratta dei famosi “brutti libri”, un genere trasversale.
Mi sono dilungata anche troppo, voglio solo concludere sul perché penso che la verità stia nel mezzo:
Paola Zanuttini ha scritto un articolo brutto, impreciso, superficiale, rozzo, sessista e classista, usando un linguaggio da “barone” e “un’ironia forzata e scemetta”, esattamente come i romanzi che critica. Lo ha fatto, forse, di proposito, solo per scatenare il flame? Ci è riuscita. Ha portato a casa condivisioni e citazioni, anche se non ha fatto il suo dovere di giornalista.
Dal canto loro, gli autori romance, i lettori, perfino i blogger hanno la responsabilità di migliorare il settore di cui fanno parte. Alcune delle critiche fatte costantemente al romance (ma qualche tempo fa, il “capro espiatorio” letterario era il fantasy, il mio genere, quindi posso capire!) non sono campate in aria. In giro ci sono un sacco di sedicenti autori, un sacco di libri brutti, un sacco di blog sciatti: tutto questo non fa altro che screditare un settore (ad es. il self publoshing) e un genere, in questo caso il romance, che dovrebbe essere considerato al pari degli altri. Dunque, è giusto arrabbiarsi per un articolo così stupido, ma è anche necessario rimboccarsi le maniche e provare a distinguere, nel marasma di roba chiamata “romance”, ciò che ha dignità di libro e ciò che non la ha. Forse, col tempo, si riusciranno a sconfiggere anche i pregiudizi.
Volete sapere quali romance ho letto e ho apprezzato e quali invece ho proprio detestato? Fatemelo sapere nei commenti, potrebbe diventare l’argomento del mio prossimo post!
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Bel post, mi trovo d’accordo con la tua analisi e mi piace molto come hai esposto i fatti 🙂 Grande Angelica!
Grazie Ornella <3 Ci ho messo un po', ma volevo rifletterci per bene!