Sono felicissima oggi di potervi parlare di un romanzo storico che mette insieme viaggi, misteri, amore: sto parlando de Il Barone dell’Alba di Stefano Valente edito Graphofeel Edizioni.
In questa tappa farò quattro chiacchiere con l’autore, parleremo del suo romanzo, naturalmente, del personaggio principale, un giovane nobile alle prese con il suo viaggio di formazione e un grande mistero e di scrittura in generale. Siete curiosi? Allora buttiamoci!
Ah, non dimenticate di seguire anche le altre tappe del blog tour, tutte molto interessanti!
TITOLO: Il Barone dell’Alba
AUTORE: Stefano Valente
GENERE: Narrativa
EDITORE: Graphofeel Edizioni
DATA PUBBLICAZIONE: 20 maggio 2016
PAGINE: 333
FORMATO: Cartaceo
PREZZO: 14,00€
SINOSSI
La fine del ’700: il Grand Tour del giovane barone borbonico Francesco Antonio si trasforma in una rocambolesca sequenza di avventure cui fanno da sfondo l’Italia e il Mediterraneo, la Sicilia e Malta, fino all’Egitto delle antichissime divinità teriomorfe e dei loro orripilanti misteri.
Sulle tracce di un enigmatico ritratto di donna il barone di Santamaria di Calòria percorrerà i mari e gli Stati, in compagnia di preti avventurieri e bestemmiatori, di sbirri negromanti dall’ambigua bellezza, braccato dai sicari della Chiesa e dalle spie dell’Inquisizione. Rapimenti, duelli, le prime esperienze dei sensi. Dalle sabbie del deserto africano al ritorno nella città dorata dove ogni cosa ha avuto inizio, la Storia si fonde con l’Immaginario. Le lingue, le parlate e i dialetti si amalgamano nella narrazione in cui sfilano tableaux ricchissimi e vivaci di luoghi, comparse e personaggi mai del tutto decifrabili, ciascuno col proprio insospettabile segreto. E soprattutto scorre davanti ai nostri occhi il racconto della Notte che incalza invano il Mattino e le sue rivelazioni: poiché sa che, quando infine li avrà raggiunti, non sarà in grado di riconoscerli. Verità e Finzione, Ragione e Follia, Voce e Silenzio, si danno convegno per raccontare una vita.
Intervista all’autore
Il Barone dell’Alba è il viaggio di un giovane nobile impegnato nel suo Grand Tour e raccontato dalla sua stessa voce: un viaggio lungo, dall’Italia all’Egitto, sulle tracce di un misterioso ritratto di donna. Com’è nata l’idea per questa storia?
La fase di “gestazione” di un lavoro letterario è sempre oscura, indefinibile. Per Il Barone dell’Alba ho dovuto in qualche modo “rendere conto” a tutta una serie di immagini e sensazioni che premeva con forza per uscir fuori, affiorare. Dalla mente e dall’anima. Scrivere per me significa muovermi su entrambi i piani, cercare anzi di fonderli in un unicum che rassomigli quanto più possibile alla vita stessa. Insieme d’anima e mente sono le apparizioni, le situazioni, i personaggi che abitano Il Barone dell’Alba. Il protagonista prima di tutto, che è pure la voce narrante del romanzo. Il Barone dell’Alba è un romanzo che si spinge al di là della storia in sé, insegue e traccia con passione, furia, sofferenza, l’essere umano. Il giovane barone di Santamaria di Calòria, le sue peripezie, le avventure che lo trascinano nel suo viaggio rocambolesco per terre e per mari, siamo tutti noi. Ciascun individuo, insomma, costretto a guardare dentro la luce e nel buio della propria esistenza. Un’alternanza raramente nitida allo sguardo, allo comprensione: un tessuto dalla trama spesso sfuggente, ambigua – d’amore e di odio, splendore e miseria, speranza e follia. Come ambientazione ho scelto non a caso il ’700: considero la conclusione del XVIII secolo – con l’Illuminismo, la rivoluzione francese e le sue derive – la vera metafora e l’embrione del nostro contemporaneo. Il ’700 segna la nascita del pensiero moderno, ma anche l’illusione dell’onnipotenza dell’uomo. E il tradimento delle libertà, sociali e ideologiche, appena conquistate. Il Barone dell’Alba non poteva avere nessun altro scenario…
Il Barone dell’Alba fonde storia, mistero, avventura, amore: è la storia di un ragazzo che diventa uomo? Possiamo anche definirlo un po’ “romanzo di formazione”?
Senza dubbio è un poco anche questo. Ma è anche molto altro: Il Barone dell’Alba è un romanzo d’appendice, un libro di viaggi, la narrazione dalla viva voce – o meglio, dalla penna – del suo protagonista (e in questo senso è un libro dentro al libro: prende l’avvio dal rinvenimento nell’Archivio di Stato di Palermo di un manoscritto intitolato Alterne venture, viaggi e peripezie, come li visse il giovine Francesco Antonio, Barone di Santamaria di Calòria, narrati da lui medesimo). Forse perché io non amo la letteratura «di genere», anzi: preferisco una scrittura che sia libera di spaziare, senza costrizioni e fuori dai luoghi comuni. Sia l’autore che il lettore oggi dovrebbero ricercare strutture e linguaggi innovativi. Altrimenti continueremo ad avere gli scaffali stipati di doppioni e cloni.
Hai scelto di scrivere questa storia facendola raccontare al protagonista, come ti sei preparato per poter parlare con la voce di un nobile del ’700?
La dimensione del linguaggio, inteso nel duplice aspetto di documento scritto e di oralità, è fondamentale nel mio lavoro creativo. Lo devo alla mia formazione e ai miei studi, di linguistica e storia della lingua. Per Il Barone dell’Alba – per la veridicità dell’intero impianto narrativo – era essenziale costruire un idioma storicamente “plausibile”. Quindi letture di testi del XVIII secolo, letterari e non, una ricerca di attestazioni a più livelli: dalle liste di vendita e le commesse dei mercanti d’arte agli epistolari. Con le rettifiche del caso, perché una replica precisa, ad esempio, del periodare settecentesco avrebbe tediato il lettore. Però in realtà Il Barone dell’Alba non gioca solamente su un italiano di fine ’700. La ricchezza e la molteplicità dei dialetti e degli idiomi – esotici e non – che sono le tante voci del romanzo mettono in scena anche il mondo teatrale e variopinto di quei tempi. Con effetti davvero inconsueti per l’orecchio e l’immaginazione di chi legge…
È stato prima il personaggio a venire da te o la storia?
Entrambi, vorrei dire. Fortissima la “presenza” del barone – giovane, anziano: nelle varie fasi della sua esistenza di fortune e di sventure –, ma non meno intensa, prorompente, la catena delle sue vicissitudini, e di quelle degli altri personaggi. Il Barone dell’Alba – lo scoprirete leggendo – è un libro che segna irrimediabilmente chiunque vi si immerga. Trasporta cuore e ragione nel fiume dei suoi capitoli. Proprio come ha fatto con me durante la stesura. Terminate le sue pagine non si è più come all’inizio. Qualcosa è cambiato – in fondo a noi stessi…
Con quale frequenza scrivi e quanto tempo ci hai messo a finire Il Barone dell’Alba?
La scrittura è un vero e proprio lavoro, sia nel senso “artigianale” – del plasmare ciò che prima non esisteva –, sia come impegno, esercizio faticoso. Chi scrive scrive sempre, mi piacerebbe poter dire. Ma è più corretto affermare che chi scrive deve scrivere sempre. Soffrire sopra il foglio. La parola, la frase, sono una musica esigente, che richiede al suo compositore assoluta devozione. Specialmente per autori che, come me, non seguono scalette o schemi – inseguono il racconto che si crea quasi da se stesso, in progress. Quantificare i tempi della scrittura non è facile. Ogni testo ha una storia e una “durata” differenti. E fra le molte, faticose lezioni che impartisce la scrittura ce n’è una preziosissima: la pazienza. Ogni periodo, paragrafo, frase, deve decantare nella coscienza dell’autore. Allora e solo allora, trascorso il tempo necessario, emergerà il superfluo – ciò che andrà tagliato – e la lacuna da colmare – quello senza il quale una sequenza o un personaggio, o persino tutto un romanzo, mancano d’incisività. Il Barone dell’Alba ha richiesto circa un anno e mezzo, fra stesura e successive riscritture e correzioni. E parecchi altri mesi, a distanza di qualche anno, per un nuovo editing. Tutto sommato un tempo brevissimo. Perché alla base c’era l’impulso “torrenziale” delle voci e delle vite dei suoi personaggi.
Qual è stata la parte più difficile nella stesura di quest’opera?
Forse il principio: negli inizi si cela il rischio enorme di non essere ancora totalmente coinvolti, la penna è appena “tiepida”. Ma poi mi sono lasciato trascinare dal barone Francesco Antonio, dallo scricchiolare frenetico del suo pennino sulla carta – con la sua stessa impellenza a narrare il suo rincorrere infinito della luce: la luce che scorgeva sempre inarrivabile dal fondo della sua oscurità…
Quali sono i tuoi riferimenti letterari, gli autori che ami di più?
Molti, moltissimi. Per diverse ragioni. Leggo e rileggo i classici. E i miei classici, che sono Borges, Gesualdo Bufalino, il brasiliano Guimarães Rosa (purtroppo semisconosciuto qui in Italia: il «Dante degli altipiani del Sertão», equilibrista dell’oralità), Calvino, Sciascia. E Julio Cortázar: «Cortázar è il migliore», come diceva un altro imperdibile sudamericano, il cileno Roberto Bolaño. E altri grandissimi come Marguerite Yourcenar, Nabokov, Anna Maria Ortese. È un elenco parziale, difettoso. A cui aggiungo doverosamente Ágota Kristóf, nota più che altro per i suoi superlativi Il grande quaderno, La prova e La terza menzogna (raccolti nella Trilogia della città di K.). Non posso dimenticare, poi, Hugo Pratt, il padre di Corto Maltese e altre graphic novels d’eccezione: oltre a scrivere, io disegno, sceneggio fumetti e illustro da sempre, e con Pratt andiamo ben al di là del mondo dei comics. La sua opera è letteratura pura, discendente diretta dei libri di Stevenson, Conrad, Hemingway, Chatwin (solo per citarne alcuni).
Blocco dello scrittore. Come lo superi?
Tra mille tormenti, cerco di abbandonarmi alle parole – di “aprirmi” al loro scorrere. Così che le frasi generino altre frasi. È sempre un momento nevralgico, comunque. Perché per me la scrittura è un impegno che esige rigore e costanza. Tornare e ritornare sui periodi, correggere ed eliminare. E di nuovo riscrivere. L’autore ha l’obbligo di essere il più severo critico di ciò che crea. E leggere, leggere sempre – i classici, i contemporanei (cosa che può aiutare molto a superare un blocco). Per imparare. In totale e sincera umiltà.
Salutaci con un citazione che ami particolarmente.
«Forse è questo, lo scrivere Romanzi: vivere attraverso i propri personaggi, far sì che questi vivano nel nostro mondo, e consegnare se stessi e le proprie creature al pensiero di coloro che verranno, anche quando noi non potremo più dire io…».
(Umberto Eco, L’isola del giorno prima).
mi è piaciuta molto questa tappa, io adoro poi l’intervista! scopri sempre piccole e gradite chicche!
È proprio vero! Le interviste permettono di scoprire tante piccole curiosità su autori e libri 🙂