
Christine de Pizan conosciuta anche come Cristina da Pizzano per le sue origini italiane è, secondo la definizione di Simone de Beauvoir:
La prima donna a prendere la penna in difesa del proprio sesso.
Possiamo, in effetti, considerare Cristina da Pizzano la prima scrittrice europea laica: è stata una vera e propria femme de lettres autonoma dalla tradizione religiosa e, dunque, motivo di scandalo in un mondo fortemente misogino dominato da intellettuali ecclesiastici; una donna in grado di utilizzare ironia e intelligenza per descrivere la società del suo tempo:
«Mio Dio, ma perché non mi hai fatto nascere maschio?
Tutte le mie capacità sarebbero state al tuo servizio,
non mi sbaglierei in nulla,
sarei perfetta in tutto,
come gli uomini dicono di essere».
Colta e autonoma, ironica, come si nota da questa breve citazione, Cristina è una pioniera del pensiero femminista: è, infatti, la prima intellettuale donna a vivere di scrittura (se non contiamo la poetessa medievale Maria di Francia), si occupa di storia, filosofia, scienza, scrive in prosa e in versi e, inoltre, dirige uno scriptorium, un centro scrittorio, in altre parole una bottega di scrittura, dove in epoca medievale lavoravano calligrafi, amanuensi, miniatori e altri collaboratori intenti nella copiatura di manoscritti.
Cristina da Pizzano: biografia di una donna libera

Cristina nasce a Venezia nel 1365. Suo padre, Tommaso da Pizzano, è un uomo colto, laureato in medicina e astrologia (non parliamo dell’astrologia di oggi, ma di quella disciplina che, ai tempi, si occupava di temi a metà strada fra la filosofia e la scienza).
Il cognome Pizzano viene da un borgo nei pressi di Bologna, sede dell’Università dove Tommaso si è laureato, per poi spostarsi a Venezia. Dalla Serenissima la sua fama di medico e astrologo raggiunge il re di Francia Carlo V, sovrano illuminato e coltissimo (fra i cui meriti si annovera la fondazione della prima biblioteca reale in Francia, nel Palazzo Reale del Louvre, ancora oggi considerata una delle biblioteche più importanti di Francia e del mondo). Il re invita Tommaso a unirsi alla sua corte. Così, nel 1368 assieme alla famiglia Tommaso da Pizzano si trasferisce alla corte di Carlo V. Cristina ha solo 3 anni.
La bambina cresce, quindi, in un ambiente colto e stimolante e grazie anche al sostegno del padre, che la incoraggia negli studi, raggiunge un livello di profonda cultura, a quell’epoca preclusa alla maggior parte delle donne.
Ispirata dalle opere uniche contenute nella Biblioteca Reale del Louvre, alla quale Cristina aveva libero accesso, giovanissima inizia a comporre poesie: parla e comprende l’italiano, ma la lingua in cui scrive è il francese. Cristina è giovanissima, ma il suo spirito indipendente e la sua cultura incantano gli uomini, molti dei quali la chiedono in moglie (affascinati anche, bisogna dirlo, dalla posizione del padre, che nel frattempo è diventato consigliere di Carlo V).

Il matrimonio, però, sarà combinato dal padre di Cristina, come si usava ai tempi: lo sposo designato è Étienne de Castel, notaio e segretario del re, che la quindicenne Cristina sposa nel 1380. Etienne ha ventiquattro anni, dieci in più della giovane Cristina, ma è un uomo colto e gentile del quale Cristina s’innamora e col quale ha tre figli, di cui uno morirà giovanissimo.
Pochi anni dopo, la vita di Cristina cambia bruscamente e in peggio in seguito a una serie di lutti: nel 1380 viene a mancare Carlo V il saggio, il sovrano che li aveva accolti e protetti, sul trono sale Carlo VI di Valois, il nuovo sovrano ha solo undici anni e siamo nel bel mezzo della Guerra dei Cento Anni, passerà alla storia come Il folle, per le frequenti crisi di pazzia violenta; nel 1387 muore, ottantenne, il padre di Cristina, lasciando la famiglia nel bisogno. Tanto colto quanto poco pratico nelle questioni economiche, Tommaso da Pizzano non era riuscito a mettere nulla da parte per la sua famiglia. A questo lutto si aggiunge la morte dolorosissima dell’amato Etienne, per un’epidemia di peste nel 1390, un altro fortissimo scossone alla già disastrata situazione economica familiare.
Cristina soffre di depressione per lunghissimi mesi: le manca Etienne e inoltre è una vedova senza mezzi e con dei figli e una madre anziana da accudire.
Sola, ovunque e in ogni luogo,
sola, che io vada o che rimanga,
sola, più di ogni altra creatura,
sola, abbandonata da tutti,
sola, duramente umiliata,
sola, sovente tutta in lacrime,
sola, senza più amico.
Davanti a una situazione così difficile, le donne all’epoca avevano solo una scelta: risposarsi, trovare rifugio sotto l’ala protettiva di un uomo. Solo che Cristina non vuole un altro marito, primo perché dopo Etienne ha giurato che non amerà nessun altro, secondo perché contrarre un nuovo matrimonio per denaro equivarrebbe a rinunciare ai suoi studi, come faceva la maggior parte delle donne. E allora Cristina decide che sarà non il matrimonio ma il suo talento a salvarla dalla bancarotta. Così, si rimbocca le maniche e inizia a scrivere:
E’ molto difficile tenersi dentro il dolore. Il destino, però, non mi ha colpito così in profondità, da non farmi desiderare la compagnia e il conforto della poesia.
La scrittura è il balsamo con il quale Cristina cura il suo cuore spezzato, ma anche le sue finanze. Fonda uno scriptorium, una bottega di scrittura, dove comincia a produrre manoscritti miniati. Le sue poesie iniziano a diffondersi e piacciono tantissimo: i committenti aumentano, le finanze di Cristina, piano, con pazienza e tanto duro lavoro, si riprendono. Fra i suoi ammiratori ci sono i fratelli del defunto re, i duchi Filippo II di Borgogna e Giovanni di Valois e la regina consorte Isabella di Baviera. Ma Cristina non si limita alla poesia, scrive di tutto: filosofia, storia, società, esperienze autobiografiche.

La sua situazione personale la ispira a scrivere Le Livre de la Mutation de fortune, in cui racconta i difficili anni del disastro economico e della depressione; Le Livre de Corps de Policie è, invece un trattato che invita i principi a occuparsi delle vedove, anche questo ispirato alla sua situazione personale.
Cristina era una donna molto colta e molto intelligente, con un umorismo fine, come si evince da uno dei tanti consigli impartiti al figlio che diceva più o meno: sposa una donna intelligente e fidati di lei, non escuderla dagli affari della famiglia, perché tua moglie ha i tuoi stessi diritti, non è la tua serva; se invece sposi una donna stupida, sono cavoli tuoi. Ma non prendertela con lei: l’hai scelta tu, è colpa tua.
La città delle dame e l’inizio della querelle des femmes
La città delle dame è la sua opera più famosa. Realizzato tra il 1404 e il 1405, è uno scritto allegorico in forma di dialogo in cui le personificazioni di Ragione, Giustizia e Virtù descrivono una galleria di donne del passato e contemporanee degne di ammirazione, contraddicendo le tesi misogine tipiche del periodo e dando di fatto il via a un dibattito (passato alla storia come la querelle de femmes) che proseguirà nei secoli successivi e che sarà la base sulla quale si andrà a formare il pensiero femminista.
«Se si usasse mandare le bambine a scuola e insegnare loro le scienze con metodologia come si fa con i bambini, imparerebbero e capirebbero le difficoltà e le sottigliezze di tutte le arti e le scienze così bene come i maschi»
Com’erano considerate le donne ai tempi di Cristina? Già da molto, alla rappresentazione della donna-angelo tipica dell’Amor Cortese si era accostata quella della donna-diavolo, ingannatrice e perfida, figura tratta soprattutto dalla tradizione biblica e dai testi religiosi. La donna aveva iniziato a essere descritta in maniera oscena e ridicola, come bugiarda e frivola.
Cristina, durante le sue letture, si era imbattuta in numerosi testi che proclamavano l’inferiorità della donna, ma è la lettura di un testo di Jean de Meung a ispirare la scrittura de La città delle dame, nella quale per la prima volta nella storia una donna scrive in difesa delle donne, lodandone le virtù e le capacità intellettuali e prefigurando un’ideale “comunità femminile” dove le donne potranno vivere lontane dai loro detrattori.
«Non tutti gli uomini (e soprattutto i più saggi) condividono l’opinione che sia un male educare le donne. Ma è vero che molti uomini sciocchi lo hanno sostenuto perché non gli piaceva che le donne ne sapessero più di loro».

Jean de Meung, autore del 1200, aveva terminato di scrivere l’incompiuto Roman de la Rose, il Romanzo della rosa, di Guillaume de Lorris, uno dei testi più famosi dell’Amor Cortese, ma mentre il testo originale si rifaceva ancora a un ideale di donna angelicata, quello di de Meug la descrive in termini satirici, con lo scopo di distruggere la figura della donna-angelo per sostituirla con quella di un’astuta seduttrice priva di morale.
Questo è il tenore dell’opera di Meung:
«Siete, siete state, e sarete, tutte puttane, nei fatti o nelle intenzioni!»
Se Cristina di Pizzano può essere considerata una femminista ante-litteram, Jean de Meung può essere considerato un anticipatore del Maschio Bianco Etero Basic.
Cristina esordisce così nel Libro Primo de La Città delle Dame, esprimendo il suo giudizio anche contro gli uomini di chiesa colpevoli di aver fomentato un’immagine degradante della donna:
«Che tacciano! Che tacciano d’ora in avanti i chierici maldicenti, coloro che ne hanno parlato e ne parlano con biasimo nei loro libri e nei loro poemi, e tutti i loro complici e sostenitori. Abbassino gli occhi per la vergogna di aver osato mentire nei loro libri, quando la verità va contro le loro affermazioni»
E ancora:
«Mi irrita e mi rende triste che gli uomini dicano che le donne vogliono essere stuprate e che a loro non dispiace essere violentate anche quando si ribellano e urlano»

Per Cristina, la donna nobile non è quella che nasce tale, ma colei che istruendosi lo diventa di spirito: fondamentale, dunque, la cultura per vivere bene, essere autonome e non farsi soggiogare dagli uomini. Incredibilmente moderna poi l’analisi delle violenze che le donne subiscono all’interno della rete familiare e la condanna dell’idea che lo stupro possa essere la conseguenza di atteggiamenti invitanti da parte della donna.
Ne La città delle Dame, Cristina invita le donne a riunirsi, dalla regina alla prostituta, e a farsi coraggio l’un l’altra, per affrontare la misoginia, sconfiggendola con l’unione e la cultura. Una tesi modernissima.
La città delle dame, oltre a essere un testo di valore per i suoi contenuti intellettuali che in molti casi anticipano il pensiero femminista, è meravigliosamente ornato da splendide illustrazioni: nella bottega di scrittura che dirigeva, infatti, Cristina collaborava con abili miniaturisti, fra cui la bravissima Anastasia, citata anche nella galleria di donne virtuose.
Il ritiro in convento, l’ultimo poema e la morte
Quando la guerra civile tra fra Armagnacchi e Borgognoni divampa a Parigi, Cristina ha cinquant’anni. Aveva negli anni precedenti dato ammonimenti e consigli ai principi e ai politici per evitare una guerra civile violenta, si era spesa per un’idea più bella di donna, ma la Francia è comunque diventata un campo di battaglia. Delusa e sconfortata, non le resta che tacere: decide di ritirarsi in convento, nell’Abbazia di Poissy, dove si trovava già la figlia.

Per una donna della tempra e della cultura di Cristina da Pizzano, però, è solo questione di tempo prima di far sentire di nuovo la sua voce: dopo ben 11 anni di assoluto silenzio, Cristina viene a conoscenza delle eroiche imprese di una donna destinata a passare alla storia: la pulzella d’Orleans, Giovanna D’Arco. Le imprese di Giovanna d’Arco durante la Guerra dei Cento Anni esaltano Cristina, che vede realizzato uno dei suoi sogni riguardanti il genere cui appartiene: le donne possono essere forti, autonome, possono essere delle combattenti, e possono avere un peso sulle vicende storiche e politiche del loro paese, portandolo perfino alla vittoria.
Ispirata da questa straordinaria donna, Cristina torna alla scrittura e in circa una settimana esce Le Dittié de la Pucelle, primo e unico poema dedicato a Giovanna D’Arco.
«Che onore per il sesso femminile quando questo nostro regno interamente devastato, fu risollevato e salvato da una donna, cosa che cinquemila uomini non hanno fatto…».
Poco tempo dopo, realizzato il sogno personale di vedere una donna salvare una nazione, Cristina muore, intorno al 1430, fortunatamente prima di assistere alla condanna al rogo per eresia di Giovanna D’Arco, la dimostrazione che il cammino contro i pregiudizi e la misoginia sarebbe stato ancora molto lungo.
Eppure, nonostante questo, ci va di concludere questo viaggio nella vita di una delle grandi donne della storia, con una sua citazione, tratta da La città delle Dame:
Non bisogna rinunciare a coltivare e accrescere i lati buoni e virtuosi con il pretesto che gli stolti li utilizzano male.