Scrivere racconti non è esattamente il mio forte (sono al quarto volume di una saga fantasy per ragazzi che si compone di CINQUE tomi e che forse non vedrà mai la luce, visto che continuo a correggerla e a ricorreggerla… ma questa è un’altra storia).
Oggi voglio affrontare una questione spinosa, ossia: “la sintesi, questa sconosciuta“.
Essere brevi è un dono:
Mi scuso per la lunghezza della mia lettera, ma non ho avuto il tempo di scriverne una più breve
BLAISE PASCAL
Ci vuole tempo, insomma, ed esercizio per essere brevi (che non significa essere frettolosi, ma essenziali).
Essere brevi non è una regola, ci sono racconti che sono tutt’altro che brevi ed essenziali (Poe o Lovecraft, ad esempio, non erano brevi, ma la loro scrittura “arzigogolata” serviva a creare l’atmosfera fosca di cui avevano bisogno per avvolgere il lettore).
Ad ogni modo, se non siete Poe o Lovecraft, è meglio essere brevi. Chi non è naturalmente portato alla sintesi (come la sottoscritta) può esercitarsi (e seguire delle regole).
Come esempio userò uno dei miei racconti preferiti, Gioco d’Ottobre di Ray Bradbury che vi consiglio vivamente di leggere (cliccate qui) prima di proseguire, se non volete che vi sveli il finale!
REGOLA N. 1
L’Incipit!
Chi ben comincia è a metà dell’opera, dice il proverbio. In letteratura è la regola fondamentale: cosa fa chi sfoglia per la prima volta un libro? Solitamente legge l’attacco… non ci mette più di una manciata di secondi, ergo avete solo pochissimo tempo per “agganciare” l’interesse del lettore e portarlo in “viaggio” nel vostro mondo! All’attacco del racconto dedicate tutto il tempo possibile!
Prendiamo Gioco d’ottobre di Ray Bradbury:
Ripose la pistola nel cassetto della scrivania e chiuse il cassetto. No, non così. Così Louise non avrebbe sofferto. Sarebbe morta senza soffrire e sarebbe tutto finito. Era invece importante che questa cosa, soprattutto, durasse. Occorreva fantasia per farla durare. Come prolungare la sofferenza? E, prima di tutto, come crearla?
In appena quattro o cinque righe Bradbury ha già lanciato l’amo e voi avete già abboccato, vero? Qualcuno sta organizzando un omicidio, c’è una pistola, nascosta in un cassetto, una donna, una certa Louise che deve morire. Ma non morire e basta… questo non avrebbe agganciato più di tanto la vostra attenzione, la particolarità è che deve… soffrire. E’ la fantasia malata e raccapricciante di chi parla che ci incuriosisce… siamo già dentro la storia dopo appena poche righe!
REGOLA N. 2
L’idea geniale!
Ok, anche se non è geniale, l’idea dev’essere forte. Inutile scrivere un racconto sulla vostra vita, se la vostra vita è identica a quella dei restanti 6 miliardi di esseri umani che vivono sulla terra, a meno che non vogliate proprio comunicare questo senso di appartenenza, nel qual caso fareste bene comunque a trovare un’idea forte attorno a cui far girare il concetto. Mi spiego meglio, prendendo come esempio Bradbury!
Era stato facile per Louise odiare il marito che voleva così disperatamente un figlio da esser pronto a consegnare la moglie all’obitorio. Invece… Louise era sopravvissuta. E in modo trionfale! I suoi occhi, il giorno che era andato a trovarla in ospedale, erano gelidi. Sono viva, dicevano. E ho una figlia bionda! Guarda!
Il nucleo del racconto è l’odio che Louise prova per suo marito (o quello che suo marito pensa che Louise provi per lui). E’ una situazione non certo normale, soprattutto non è normale che l’uomo voglia uccidere sua moglie, non è normale che voglia farla prima soffrire.
Louise non voleva figli, suo marito sì, voleva un maschio. L’ha costretta a concepirne uno e Louise ha concepito una femmina, Marion, per di più totalmente diversa dal padre, una fotocopia della madre. Per l’uomo vedere questa bambina (Louise non può avere più figli) è come essere messo ogni giorno di fronte al suo fallimento. Si capisce subito che l’uomo è pazzo, ma dalla maniera in cui parla la sua follia è soffocata, nascosta, emerge a tratti ma per la maggior parte del tempo resta sedimentata sotto strati e strati di apparente normalità. E’ la pazzia che striscia sotto pelle ad afferrare il letto subito dopo: siamo in pieno Halloween, il paesaggio è malinconico, bruno, grigio, ma i bambini sono felici, provano maschere spaventose, mentre l’uomo continua a pensare, a rimuginare… ne vogliamo sapere di più delle sua pazzia, del suo odio, perciò lo seguiamo e siamo già alla terza pagina!
Trovate l’idea forte insomma: che sia un uomo che sta impazzendo e intende uccidere la moglie, una donna morta che torna dal proprio amore per tormentarlo, una bambina che inseguendo un coniglio finisce in un altro mondo… l’importante è il nucleo attorno a cui costruire l’azione. Prima ancora di pensare all’attacco, pensate a questo.
REGOLA N. 3
Il personaggio
Nel racconto di Bradbury il protagonista non ci viene descritto fisicamente, se non per pochissimi tratti da cui comprendiamo che è bruno, questo elemento viene sottolineato solo perché fa parte del nucleo del racconto: è bruno, al contrario della figlia e della moglie che sono bionde. Bradbury è, quindi, essenziale, nella sua descrizione. Sappiamo dove vive, conosciamo il suo tenore di vita (ci viene detto che abitano in un villino), sappiamo quello che pensa. Lo conosciamo, vogliamo sapere di più.
Il personaggio o i personaggi devono riuscire ad accattivare l’interesse del lettore, a loro spetta raccontare la storia, a volte, guidare il lettore attraverso il racconto, portarlo fino alla fine. Ecco perché lo studio dei personaggi è molto importante: ogni comparsa deve avere un suo perché, inutile introdurre personaggi che non hanno un reale valore nella storia solo per far numero o inserire qualche scenetta in più. Non bisogna mai perdere di vista lo scopo del racconto! Anche i dialoghi dovranno essere stringati ed essenziali!
REGOLA N. 4
La trama
Anche un racconto, per quanto breve ha una trama, e una trama è fatta di fasi… l’inizio, il nucleo centrale e il finale. Fate bene attenzione, ognuna di queste parti ha delle regole da seguire! Chiedetevi: da dove parto? Dove sto andando? Dove sono arrivato? E fatevi queste domande in ordine, cercando di dare la risposta più creativa possibile ad incatenare l’interesse del lettore.
Da dove parto? Un uomo sta progettando di torturare e uccidere sua moglie.
Dove sto andando? E’ Halloween, tutti sono felici ma l’uomo no. L’uomo odia sua moglie che lo odia, ha un’unica figlia che non gli somiglia. Stanno per divorziare, ma se divorzia la rende felice. Allora come renderla infelice?
Dove sono arrivato? L’uomo capisce che per rendere davvero infelice sua moglie, deve separarla da sua figlia.
REGOLA N. 5
Il finale
Con il finale mettiamo la ciliegina sulla torta: attenzione, perché, come l’incipit, il finale di un racconto è essenziale alla buona riuscita dello stesso! Il finale dirà al lettore se ha fatto bene a sprecare il suo tempo con il nostro racconto. Solitamente quando si inizia a scrivere un racconto, il finale è già stato concepito, essendo la narrazione più breve. Ad ogni modo, basta, come diceva Woody Allen, che funzioni.
Il finale può essere a sorpresa (come quello di Gioco d’Ottobre) o aperto.
Il finale a sorpresa è quello che preferisco, ma devo dire che anche quello aperto non mi dispiace. Dipende, più che altro, anche dal tono e dal tipo di storia che avete raccontato. In un giallo, solitamente, si preferisce un finale a sorpresa (anche se molto spesso quello “aperto” se ben concepito, aggiunge suspence).
In Gioco d’Ottobre ad un certo punto a casa arrivano gli ospiti con i loro bambini, il padrone di casa li guida in cantina per giocare ad un gioco tipico di Halloween: a luci spente, seduti in circolo, si passano al buio pezzi della strega appena uccisa… le interiora (interiora di pollo), la testa (una testa di creta). Il segreto è rimanere al buio, in silenzio… ma ad un certo punto Louise non sente più Marion, la figlia. Inizia a chiamarla, la bambina non risponde, intanto la “testa della strega” passa di mano in mano…
Fuori il vento soffiava con forza, sferzando la casa, e l’odore delle zucche e delle mele riempiva il locale mescolato all’odore degli oggetti che ognuno teneva in mano. «Vado di sopra a cercarla!» gridò un bambino, e salì le scale di corsa sperando di trovarla in casa, poi fuori casa, e per quattro volte girò intorno all’edificio chiamando: «Marion, Marion, Marion!». Infine, ridiscese lentamente le scale fino alla cantina dove tutti aspettavano col fiato sospeso per annunciare nel buio: «Non riesco a trovarla». Poi… un idiota accese la luce.
Un finale a sorpresa da brividi. Ho letto questo racconto da ragazzina e non l’ho più dimenticato: dura solo una manciata di pagine eppure ricordo ogni particolare e, soprattutto, il finale.
Siete pronti ad esercitarvi?
Adoro i tuoi post e le linee giuda che hai dato sono giustissime 🙂
Una domanda: io ho il problema inverso (come ben sai XD) sarebbe bello vedere un intervento al riguardo *-*
Grazie!!! :* Il tuo non è affatto un problema, secondo me! La sintesi è sempre un dono, specialmente se si riesce a dire tutto quello che si voleva dire! Però ho intenzione di scrivere qualcosa sulla mia personale esperienza con la creazione di infiniti e sconfinati mondi fantastici… aiuto! 😀
Shiiii *-*
:*