Ero partita con aspettative altissime visto l’entusiasmo con cui questa storia è stata accolta fra i lettori, ma alla fine devo proprio dire che Caraval è un libro brutto, talmente brutto che non riesco a pensare a nient’altro che alla sua bruttezza. No, non è grottesco e patetico come alcuni young adult che ho avuto la sfortuna di leggere, è proprio, scusatemi se mi ripeto, brutto: trama insulsa, personaggi parodistici e stile da scuole elementari (a voler essere generosi)… spero, con questa recensione, di riuscire a trasmettervi tutto il mio sdegno e mi scuso in anticipo con i fan, ma questo romanzo è proprio una grande, enorme, gigantesca bocciatura.
Titolo: Caraval
Autore: Stephanie Garber
Serie: Caraval #1
Editore: Rizzoli
Pagine: 430
Uscita: 2017
Prezzo: 18 €
Il libro: Il mondo, per Rossella Dragna, ha sempre avuto i confini della minuscola isola dove vive insieme alla sorella Tella e al potente, crudele padre. Se ha sopportato questi anni di forzato esilio è stato grazie al sogno di partecipare a Caraval, uno spettacolo itinerante misterioso quanto leggendario in cui il pubblico partecipa attivamente; purtroppo, l’imminente, combinato matrimonio a cui il padre la sta costringendo significa la rinuncia anche a quella possibilità di fuga. E invece Rossella riceve il tanto desiderato invito, e con l’aiuto di un misterioso marinaio, insieme a Tella fugge dall’isola e dal suo destino… Appena arrivate a Caraval, però, Tella viene rapita da Legend, il direttore dello spettacolo che nessuno ha mai incontrato: Rossella scopre in fretta che l’edizione di Caraval che sta per iniziare ruota intorno alla sorella, e che ritrovarla è lo scopo ultimo del gioco, non solo suo, ma di tutti i fortunati partecipanti. Ciò che accade in Caraval sono solo trucchi ed illusioni, questo ha sempre sentito dire Rossella. Eppure, sogno e veglia iniziano a confondersi e negare la magia diventa impossibile. Ma che sia realtà o finzione poco conta: Rossella ha cinque notti per ritrovare Tella, e intanto deve evitare di innescare un pericoloso effetto domino che la porterebbe a perdere Tella per sempre…
La recensione
“Magnifico” – Publishers Weekly
“Irresistibile” – School Library Journal
“Meraviglioso e avvincente… Destinato a catturare l’immaginazione” – Kirkus Reviews
“Ipnotico” – US Weekly
“Stephanie Garber ha creato un mondo che trabocca energia, mistero, sorprese, tradimenti e imprevedibile amore” – USA Today
Dopo aver letto Caraval, posso solo ipotizzare che chi lo ha recensito definendolo “ipnotico” o “magnifico” ecc. fosse ubriaco. Con queste recensioni, stampate sulla quarta del libro, ditemi voi chi non si sarebbe convinto di trovarsi davanti al capolavoro del secolo. E invece… É raro che un libro si riveli per ciò che è fin dalle prime righe, eppure con Caraval è esattamente quello che mi è capitato: mi è bastato arrivare alla prima frase del secondo capitolo (il primo è solo una serie di lettere scritte dalla protagonista) per arrivare al punto di non ritorno, ossia all’odio per questa nuova, osannata, serie. Ora, questo è solo il mio parere, ed è dunque in parte soggettivo, il problema, però, è che in questo romanzo ci sono evidenti e grossolani errori oggettivi, perciò quello che mi chiedo: come fanno le persone a definirlo un libro eccezionale?
Ma andiamo con ordine, perché quando si tratta di fare recensioni negative, ancora di più che per quelle positive, bisogna motivare tutto nei minimi dettagli. E allora partiamo dalla prima cosa che ho trovato irritante oltre ogni dire: lo stile dell’autrice. Su questo punto si spalanca un mondo, perché se è vero che l’autrice ci mette l’80% del suo, è anche vero che il restante 20% (forse anche qualcosa in più) è “merito/colpa” del traduttore. Per cui, il mio dito ora è puntato non solo contro Stephanie Garber come autrice, ma anche contro le scelte, in fase di traduzione, di Maria Concetta Scotto di Santillo.
Un linguaggio da scuole elementari
Questo sembra un libro concepito da una persona che si sforza con tutta se stessa di scrivere in maniera poetica, senza riuscirci minimamente. In realtà, la costruzione delle frasi è perfettamente coerente con il contenuto: banale, banale, banale. Alle elementari ero in grado di concepire non solo concetti ma anche costruzioni più complesse.
I sentimenti di Rossella assunsero colori ancora più intensi del solito. Il rosso vivo delle braci ardenti. Il verde avido dei nuovi steli dell’erba. Il giallo frenetico delle piume di un uccello che batte le ali.
Ecco un esempio perfetto di quello che stavo dicendo prima: sapete qual è il problema di una frase così? Viene confusa con la poesia, con una scrittura lirica e fantasiosa, mentre in realtà non significa niente. L’autrice, in questo momento, sta prendendo per i fondelli il lettori: si chiama priapismo letterario (per usare una locuzione inventata da Piero Dorfles).
Accade oggi che si usi una scrittura pesante,
barocca, inventiva, artificiosa, gonfia, direi erettile.
Uno stile fortemente involuto, che sembra ideato apposta
per nascondere il vuoto di idee e la pochezza degli intrecci.
Piero Dorfles
Dite la verità, pensandoci: una frase così vi aiuta davvero a capire come si sente Rossella?
Il problema è che non è l’unico scivolone, l’autrice continua a piazzare sinestesie basate sulla corrispondenza di emozioni e colori che non c’entrano quasi mai col resto dello stile (che ripeto, è da scuole elementari!), barocche, prive di significato, fondate su tristissimi luoghi comuni e che a un certo punto sono talmente abusate da diventare irritanti oltre ogni dire. Vi faccio qualche altro esempio, sparso nel testo:
Mentre se ne andava avvertì la propria stupidità, di cinque tonalità diverse di rosso bacca.
Si capisce che l’autrice vuole descrivere l’imbarazzo di Rossella, ma non essendone capace, utilizza un’immagine visiva artificiosa e banale: infatti sfido chiunque di voi a comprendere perfettamente le cinque tonalità di rosso bacca millantate dalla scrittrice e a collegarle con la stupidità e con i sentimenti di Rossella.
… Sprigionando altra luce verde, il colore della malvagità.
Qui l’autrice ha preso il luogo comune del “verde-invidia” per associarlo alla malvagità e non è neanche l’unico punto in cui succede: ovunque è un tripudio di verde malvagità, verde invidia, ecc. Grazie, che novità.
… Una smorfia avida e verde come la luce che illuminava la stanza.
Non sarebbe il caso di provare altre costruzioni? Di usare un po’ di creatività per descrivere i sentimenti? Non dovrebbe essere proprio quello che uno scrittore fa? Usare in maniera creativa la lingua? A quanto pare, no. A Stephanie Garber piace questa cosa dei colori e continua a usare sempre lo stesso escamotage letterario e questo diventa particolarmente evidente quando deve, ad esempio, descrivere il padre di Rossella, un uomo pazzo e crudele. Ogni volta che l’uomo viene introdotto sulla scena si parla di – udite udite – prugne. Non ci credete? Ecco gli esempi:
Il governatore Dragna tese una mano a Julian. Aveva guanti color prugna, la tonalità dei lividi e del potere.
A parte che, grazie eh, lo sappiamo che i lividi sono viola… Nella scena seguente suo padre si preannuncia in questo modo, invece:
… Anice e lavanda e qualcosa di simile alle prugne marce.
No.
Rossella ebbe appena il tempo di battere le ciglia, in preda al panico, prima di vedere suo padre svoltare l’angolo.
A parte che una persona in preda al panico, non batte semplicemente le ciglia, quello succede se le è andato un bruscolino nell’occhio: ci sono centinaia di gesti che si fanno quando si ha paura, ma a parte questo, il padre ormai è annunciato non solo dal colore, ma anche dall’odore delle prugne. Buon uomo, fattelo un bagno, a questo punto.
Per farvi capire quanto Stephanie Garber non sappia scrivere, ecco a voi alcuni esempi di frasi spogliate da metafore e altre figure retoriche usate in malo modo:
I clienti seduti ai tavoli vicini scoccarono a Rossella una serie di occhiate che andavano dalla disapprovazione al desiderio. Un uomo si leccò le labbra, mentre alcuni ragazzi fecero gesti inopportuni.
A livello narrativo, l’autrice non ci sta dicendo nulla: confusamente descrive delle occhiate che vanno dalla disapprovazione al desiderio, che sono concetti molto soggettivi (considerato, soprattutto, che Rossella è più bigotta di una suora di clausura). Dunque, non descrivw la scena, come uno scrittore vero sarebbe in grado di fare, ma si affida alla fantasia del lettore mettendo insieme una sterile sequenza di parole. Inoltre, l’immagine dell’uomo che si lecca le labbra sfocia nel ridicolo, se non supportata da altra descrizione, e quando ho letto “gesti inopportuni” sono ripiombata nell’incubo del Catechismo, quando Suor Emily girava attorno ai concetti più pruriginosi utilizzando parole come “inopportuno”, “impuro”, ecc. Un vero autore avrebbe tenuto conto del fatto che la scena è vista dal POV di Rossella e, come tale l’avrebbe descritta, facendola vedere anche al lettore, invece di enumerare gesti come la lista della spesa. Ma visto che Rossella è un’idiota bigotta e lagnosa, ecco che le descrizioni sono avvincenti quanto il bugiardino dello sciroppo per la tosse.
Altra dimostrazione delle grandi doti di autrice di Stephanie Garber:
Era giovane, all’incirca della sua stessa età, e dalle dimensioni della pancia sembrava dovesse partorire da un momento all’altro.
Non poteva trovare un altro modo di descrivere una donna palesemente incinta, vero? Doveva presentarcela come una mongolfiera sul punto di esplodere. Ma passiamo alla maniera in cui descrive Julian, il protagonista maschile della storia e di ogni pensiero della pudica e mite Rossella:
Le cinse la vita con le braccia, calde e solide come il suo torace.
Quando il suo torace le sfiorò la schiena, Rossella avvertì la tensione nei suoi muscoli, in netto contrasto con il tono noncurante.
Prima o poi farò uno studio e vi elencherò la quantità di braccia e toraci caldi e solidi (e di addominali scolpiti) che campeggiano nei romanzi young adult come questo. Al di là di braccia, toraci e addominali non sappiamo quasi mai nient’altro di questi personaggi. Poi, spiegatemi come fa questa ad avvertire la tensione in un torace, in netto contrasto con il tono di voce. Boh.
Personaggi parodistici, banali e idioti
Passiamo all’altro punto dolente di questo libro: i personaggi. Non sono tantissimi, ma sarà molto difficile distinguerli; maschi, femmine, vecchi e giovani: sono tutti identici, diversi solo per i nome. Non sto scherzando, è così: l’autrice ce li descrive come farebbe una bambina (capelli biondi, pelle chiara, ecc.) e poi li fa parlare nello stesso identico modo, non li approfondisce, li lascia allo stato di macchiette. Bidimensionali, caricaturali, tanto da sfociare nella parodia, e, purtroppo, banali quanto lo stile. Partiamo dal fatto che già la scelta dei nomi riflette tutta la complessità e il lavoro che c’è dietro la messa a punto dell’identikit psicologico di ciascun personaggio: il nulla.
Prima di tutto c’è la protagonista, Rossella Dragna, detta Sella.
Poi c’è sua sorella, Donatella Dragna, detta Tella.
In nome di dio, ma perché un padre sebbene folle e puzzolente di prugne marce, dovrebbe chiamare le sue figlie Rossella e Donatella? Mi hanno ricordato le sorelle di Fantaghirò: Caterina e Carolina o, ancora meglio, i fratelli di Romualdo, Ivaldo e Cataldo. In generale, tutta la scelta di nomi e toponimi, ricorda atmosfere da sagra della porchetta e del fantasy. Ma perché? Tra l’altro, il romanzo è indirizzato a una fascia d’età young adult non a bambini di sei anni. Per la traduzione del nome della protagonista possiamo incolpare la traduttrice, che ha cambiato l’originale Scarlett per l’italianizzato Rossella, combinando un disastro. Per tutto il resto, la colpa è dell’autrice.
Ma approfondiamo di più il personaggio di Rossella, che è la nostra protagonista: Rossella ha vent’anni ma ne dimostra sette. Va bene che non è mai uscita di casa, ma l’autrice ce la descrive come un’oca inconsapevole, con lo spettro emotivo di una zucchina e con la tendenza a farsi salvare dal bel maschio di turno. Vince il primo premio come “Personaggio più noioso del libro” e tenete conto che siamo nel suo POV. Panico.
«Sei un mascalzone!» Rossella gli diede uno schiaffo in pieno viso.
«Ahia! E questo perché?» Un segno violaceo gli comparve sulla guancia. Il colore della rabbia e della punizione.
L’orrore per ciò che aveva fatto pervase Rossella. Ogni tanto aveva difficoltà a trattenere la lingua, ma non aveva mai schiaffeggiato nessuno. «Scusa! Non volevo farlo!»
Insomma, un’oca giuliva che s’imbarazza per un nonnulla e s’innamora all’istante del primo maschio dotato di torace solido che incontra. Rossella dovrebbe essere la saggia fra le due sorelle, ma a dispetto di ciò, risulta agire quasi sempre con una stupidità e una leggerezza incredibili. Millanta grande amore per la famiglia e poi trascorre una settimana con un bellimbusto e non riesce a decidere se salvare il tizio per cui sbava o la sorella. Boh.
La caratterizzazione di tutti i personaggi è ridicola: Rossella è saggia, timida e testarda, Donatella è piena di vita, ribelle e spudorata, Julian (il marinaio focoso e bellissimo che viene introdotto al pubblico mentre sta seducendo Donatella – emh) è apparentemente un donnaiolo e un presuntuoso, ma nasconde un animo leale e pronto al sacrificio per amore… Marcello Dragna, il padre, è un folle senza motivo (sì, è stato abbandonato dalla moglie, ma cosa c’entra il fatto che diventa un sadico e picchia selvaggiamente le figlie per vendetta?) e poi c’è Legend l’inventore di questo magnifico carrozzone detto Caraval, che è appunto una leggenda ma chissà perché visto che la sua è una figura a dir poco evanescente, senza contare il Duca, promesso sposo di Rossella (lei però non l’ha mai visto) attorno a cui si sviluppa grande mistero che si risolve, come sempre, in nulla, essendo il damerino bello e inutile che ci si aspetta. Nessuna evoluzione, nessun colpo di scena, niente che spiazzi il lettore: i personaggi restano identici a loro stessi, le loro relazioni evolvono su binari tracciabilissimi fin dalle prime pagine. Tutto questo ha reso la lettura più che noiosa.
Donatella/Tella è talmente odiosa da contendersi lo scettro di personaggio più irritante del libro con sua sorella Rossella/Sella e con l’odiosissimo Julian. Il bellissimo marinaio dalla pelle dorata e i pettorali solidi chiamerà Rossella, per tutta la durata del libro, e anche nei momenti più tragici e seri, Rossana. Lo scherzo, per quanto idiota e da bambino di cinque anni, potrebbe andare bene una volta, ma già alla seconda ti parte l’embolo e vorresti prenderlo a randellate nei denti. Tra l’altro, mai una volta che quell’idiota di Rossella lo corregga, eh, o almeno lo insulti, come meriterebbe.
E passiamo ai cattivi del romanzo: il primo è Marcello Dragna, il padre delle due idiote. Un cattivo talmente imbarazzante che in confronto Gargamella è un genio del male. Marcello Dragna è stato abbandonato dalla moglie (quanto avrà pesato in questa decisione il fatto che puzzi di prugne marce?) e da quel momento ha deciso di vendicarsi con le figlie per una ragione che sfugge all’intelligenza umana. Le picchia selvaggiamente, sottoponendole a terribili abusi (il tutto raccontato con lo stile dell’autrice che andrebbe bene sì e no per raccontare una puntata di Peppa Pig), non sembra fregarsene molto se muoiono ammazzate entrambe, anzi, in un’occasione spinge il Duca a violentare quasi Rossella (sempre senza un motivo apparente) e, infine, pugnala gente qui e là per sport.
Su Legend vorrei davvero dire qualcosa ma purtroppo non si sa niente di lui, forse neanche l’autrice è consapevole di aver creato un personaggio con questo nome e con un ruolo chiave nel suo libro.
L’ambientazione: tanto fumo e niente arrosto
Benvenuti, benvenuti a Caraval: un mix di cliché che vi farà addormentare ogni due parole. Sì, l’ambientazione circense ha il suo fascino, le atmosfere che richiamano gli spettacoli di burlesque, il surrealismo e il cinema “fantasmagorico” di Georges Méliès anche, ma in Caraval tutto questo è poco più che una scenografia, usata come sfondo per far agire i personaggi. Gli ambienti vengono descritti a inizio scena, poi abbandonati, relegati sullo sfondo, come dipinti immobili che non fanno parte della narrazione. E anche le descrizioni non vanno oltre la solita lista della spesa.
Legend sedeva su una poltrona trapuntata color champagne, lo sguardo rivolto a una vetrata ovale. Non c’erano balconi in questa stanza. Rossella ebbe l’impressione che il vasto ambiente fosse malato… se mai fosse stato possibile per una stanza ammalarsi. Lo spazio vuoto, in diverse sfumature di beige, era occupato soltanto da due poltrone sbiadite.
Poltrona color champagne. Vetrata ovale. Niente balconi. Due poltrone sbiadite. La lista della spesa, ecco. Il resto della descrizioni è come sempre affidato a sensazioni confuse e soggettive: ambiente malato, ma non ci dice in che senso, e diverse sfumature di beige anche se il beige, per quanto mi riguarda, non ha tutte queste sfumature. Ecco che l’ambiente perde significato e importanza, il lettore non vede la scena se non come un povero dipinto uguale a mille altri.
La trama: prevedibile è dire poco
Scrivere cose originali è sempre più difficile, ma sicuramente più semplice di riuscire a inanellare una serie di luoghi comuni e fatti prevedibili come in questo caso, complice la stupidità di Rossella, che si fa imbrogliare da chiunque, anche quando quel chiunque porta scritto sulla fronte: “persona di cui non devi fidarti”.
Ancora una volta Rossella ebbe la sensazione di un’assenza, come se le nuvole si fossero diradate per rivelare il sole, solo che c’erano altre nuvole.
Ecco, questo descrive benissimo Rossella, la sua astuzia e anche le capacità descrittive di Stephanie Garber, che sembra sotto effetto di stupefacenti.
Nella foga di creare suspense e confondere il lettore per non farlo arrivare subito alla soluzione, l’autrice si confonde lei stessa, ribaltando continuamente le situazioni cosicché, alla fine, queste tornano esattamente com’erano all’inizio, suscitando nel lettore un enorme e gigantesco: “ma sticazzi!”. Inoltre, la maggior parte delle sequenze, serve a permettere all’autrice di ficcare Rossella in qualche situazione ambigua e piccante assieme a Julian. Per fare un esempio, a un certo punto Rossella e Julian finiscono in acqua. Ne escono bagnati fradici entrambi e fuori si gela.
Le cinse le spalle con un braccio.
Rossella s’irrigidì.
Lui aggrottò le sopracciglia scure, con un’espressione offesa.
«Sto solo cercando di riscaldarti»
«Ma sei gelato anche tu…» E praticamente nudo.
Si evincono varie cose: 1) anche Julian possiede lo spettro emotivo di un bambino di due anni (si offende perché lei non vuole essere abbracciata da uno sconosciuto mezzo nudo… beh…) 2) Julian è idiota e cerca di scaldare una persona bagnata anche se lui è fradicio quanto lei 3) Rossella ha perso sua sorella, ha appena rischiato la vita, e l’unica preoccupazione è che lui è quasi nudo.
Di queste scene ce ne sono a bizzeffe, il tutto per arrivare alla fine a descriverci un amore, quello tra Rossella e Julian, che non ha neanche ragione di esistere, visto che si basa sul nulla: Julian passa dal trattarla una povera idiota al sacrificare la sua vita per lei (si conoscono da una settimana), Rossella passa dall’odiarlo al considerarlo tanto importante quanto la sorella stessa (sempre in una settimana). Non ci sono motivazioni per una simile evoluzione, se non il fatto che trascorrono insieme una settimana circa a Caraval passando da una situazione ambigua all’altra.
Infodump, buchi di trama & disagi vari
Una cosa davvero imbarazzante, in questa storia, è la quantità di errori a livello di tecniche di scrittura, che ho riscontrato. Tra uni scambio di battute idiote e l’altro, l’autrice ha trovato anche il tempo di raccontarci il passato di Rossella, i suoi sentimenti, con una valanga senza precedenti di spiegoni che sembrano il monologo di un pazzo. Senza contare la frequenza con cui il POV di Rossella esce dal personaggio e inizia a raccontare cose che è improbabile Rossella possa sapere.
Le scene più tragiche, anche quelle di morte, sono descritte in una maniera talmente piatta da strappare più di uno sbadiglio e, alla fine, anche queste si risolvono in un nulla di fatto, perché all’autrice piace far succedere le cose e poi annullarle in un circolo vizioso che non ha alcun senso logico. Insomma: ho trovato questa storia scialba, piatta come lo stile e come i suoi personaggi, davvero non riesco a comprendere come libri simili possano raggiungere successo planetario, davvero mi sforzo ma non riesco a trovare nulla di salvabile in questo romanzo, che alla fine posso solo descrivere come noioso, piatto, scritto male, con una fissazione per un linguaggio artificioso che è la dimostrazione delle poche capacità narrative dell’autrice.
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