Articolo originale scritto per FANTASY PLANET
The Giver – Il donatore (nell’edizione del 2010 di Giunti) conosciuto in Italia anche col titolo Il mondo di Jonas (nella prima edizione del 1995 di Mondadori) è la nuova distopia di cui si attende la trasposizione cinematografica firmata dal regista Philip Noyce ed interpretata da Brenton Thwaites nel ruolo di Jonas, Jess Bridges, nel ruolo del Donatore, Meryl Streep e Katie Holmes. Arriverà al cinema il 15 agosto 2014 in America e l’11 settembre in Italia.
L’autrice, Lois Lowry, statunitense di origini norvegesi ha lavorato negli anni ’70 come giornalista freelance e fotoreporter e il suo stile lo dimostra: secco e preciso ma allo stesso tempo evocativo, lo stile perfetto, insomma, per raccontare una storia semplice e complessa come quella di The Giver.
Il romanzo, uscito per la prima volta in America nel 1993, è il primo volume di una saga che continua con La Rivincita – Gathering Blue (2000), Il Messangero – Messenger (2004) e Il figlio – Son (2012) ed è stato più volte criticato (tanto che in alcune scuole americane si è arrivati a censurarlo) per la disinvoltura con cui sono stati trattati temi come l’eutanasia, la sessualità, l’infanticidio. Nonostante tutto, il successo di The Giver è stato enorme: tradotto in trenta paesi con circa 6 milioni di copie vendute, ha ricevuto numerosissimi riconoscimenti letterari, fra cui la prestigiosa Newbery Medal, la medaglia assegnata annualmente all’autore del miglior libro americano per ragazzi.
La trama:
Jonas ha dodici anni e vive in un mondo perfetto. Nella sua Comunità non esistono più guerre, differenze sociali o sofferenze. Tutto quello che può causare dolore o disturbo è stato abolito, compresi gli impulsi sessuali, le stagioni e i colori. Le regole da rispettare sono ferree ma tutti i membri della Comunità si adeguano al modello di controllo governativo che non lascia spazio a scelte o profondità emotive, ma neppure a incertezze o rischi. Ogni unità familiare è formata da un uomo e una donna a cui vengono assegnati un figlio maschio e una femmina. Ogni membro della Comunità svolge la professione che gli viene affidata dal Consiglio degli Anziani nella Cerimonia annuale di dicembre. E per Jonas quel momento sta arrivando.
L’idea è sicuramente d’impatto e lo è anche la scrittura: precisa, senza troppi fronzoli, giornalistica, appunto, ma allo stesso tempo piena di malinconia, poetica.
Immaginate un mondo dove non esistono i colori: ci riuscite? No. Perché siete nati con la percezione delle differenze. Immaginate uomini e donne e bambini che invece non hanno più (o non hanno mai avuto) la capacità di distinguere ciò che è rosso da ciò che è verde: vivono immersi in migliaia di sfumature di grigio. Ciò che provano non è da meno: anche i sentimenti e gli istinti primari di queste persone sono congelati, fermi, piatti. Nessuno prova dolore, è vero. Ma nessuno prova gioia, amore, curiosità. Le guerre sono finite, i contrasti non esistono più e la conseguenza è che sta svanendo anche l’umanità: l’unica cosa che resta sono le regole, tramandate di padre in figlio senza porsi alcuna domanda.
Ma l’umanità non può esistere senza i suoi istinti primordiali, senza i sentimenti ed è per questo che un’unica persona, ciclicamente, dovrà accollarsi il peso dei sentimenti dell’intera umanità, conservarli e tenerli per sé per permettere agli altri di vivere in perfetta atarassia.
Il compito del Donatore è appunto questo, e sarà questo il compito di Jonas che imparerà poco per volta cos’è la gioia, cos’è l’amore, cosa sono i ricordi, cosa sono gli istinti sessuali, ma anche cos’è il dolore, cosa sono le lacrime, la morte, la disperazione e infine… la verità che nessuno vuole vedere. The Giver è, fra tutti i romanzi distopici del momento (per quanto sia stato pubblicato nel 1993, all’indomani della fine della Guerra Fredda, il capitolo più angosciante – fino a quel momento – della storia americana) quello sicuramente più raffinato.
Le accuse di aver trattato temi come l’infanticidio (sui quali si glissa sempre volentieri, visto il forte impatto emotivo) in maniera troppo esplicita non sono del tutto infondate: la Lowry, in una scena che mette i brividi, lo descrive con precisione; ma è realmente possibile rendere meno brutale l’assassinio di un neonato? La Lowry lo descrive con precisione chirurgica, ed è una scena che fa rabbrividire, ma resta impressa come una specie di monito: ecco dove può arrivare l’umanità quando non prova più sentimenti.
Sono tantissimi gli spunti interpretativi a cui dà vita The Giver: il poco coraggio dell’Umanità, che si nasconde nel grigiore pur di non affrontare la vita così com’è, che rinuncia ai colori, alla gioia, all’amore, pur di non soffrire; la necessità, nonostante il rifiuto, di conservare le proprie memorie, perché l’uomo non è niente senza il suo passato.
The Giver si legge velocemente, è scorrevole, ho trovato il finale forse un po’ troppo “aperto” per i miei gusti, ma era probabilmente volontà precisa dell’autrice quella di lasciare al lettore il libero arbitrio (ciò che manca all’Umanità intera descritta nel suo romanzo).
Nel complesso quindi, pur essendo stata una lettura avvincente, il finale mi ha lasciato poco convinta, ma col passare del tempo, riflettendo sui concetti cardine della storia, l’ho in parte rivalutato: la Lowry dice cose probabilmente ovvie (conservate la vostra umanità, sopportate il dolore perché c’è anche la gioia, i colori sono parte della vita tanto quanto lo è la morte, ecc. ecc.) ma non così ovvie, forse, se pensiamo alla direzione pericolosa che il mondo ha preso, in un’ottica di spersonalizzazione che è evidente oggi molto più che nell'(ormai) lontano 1993.