buon-junkieChe settimana è stata questa: avevo in programma di scrivere questa recensione almeno sette giorni fa, ma visto che sapevo mi avrebbe portato un po’ di tempo e volevo riordinare le idee ci ho pensato su un attimo di troppo, il tempo per essere sommersa di nuovo di cose da fare. Ah, e poi sto andando al mare tutti i pomeriggi per un paio d’ore, giusto per passare dal mio consueto colorito pallido a un po’ di colore umano. Comunque, non voglio perdermi in chiacchiere:  nuova recensione oggi, si tratta di Aurora nel buio di Barbara Baraldi, edito Giunti e mi sento un po’ orfana di questi personaggi e del grande mistero che mi ha accompagnato per più di 500 pagine. Ebbene sì, Aurora nel buio è un thrillerone lungo più di 500 pagine ma, state tranquilli, si legge che è una bellezza, merito di un’autrice che, con uno stile fresco, scorrevole e pulito, è stata in grado di raccontare una storia fatta di sangue, marciume, segreti inconfessabili, paure e ossessioni. Ve ne parlo dettagliatamente!

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67484t-5UNKPVGQ TITOLO: Aurora nel buio
AUTORE: Barbara Baraldi
EDITORE: Giunti
GENERE: Thriller psicologico
AMBIENTAZIONE: Italia, giorni nostri / Italia, 1300
PREZZO: 16,90 €
PAGINE: 523
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TRAMA: Aurora Scalviati era la migliore, fino al giorno di quel conflitto a fuoco, quando un proiettile ha raggiunto la sua testa. Da allora, la più brava profiler della polizia italiana soffre di un disturbo bipolare che cerca di dominare attraverso i farmaci e le sedute clandestine di una terapia da molti considerata barbara: l’elettroshock. Quando per motivi disciplinari Aurora viene trasferita in una tranquilla cittadina dell’Emilia, si trova di fronte a uno scenario diverso da come lo immaginava. Proprio la notte del suo arrivo, una donna viene uccisa. Il marito è scomparso e l’assassino ha rapito la loro bambina, Aprile, di nove anni. Su una parete della casa, una scritta tracciata col sangue della vittima: «Tu non farai alcun male». Aurora è certa che si tratti dell’opera di un killer che ha già ucciso in passato e che quella scritta sia un indizio che può condurre alla bimba, una specie di ultimatum… Ma nessuno la ascolta. Presto Aurora capirà di dover agire al di fuori delle regole, perché solo fidandosi del proprio intuito potrà dissipare la coltre di nebbia che avvolge ogni cosa. Solo affrontando i demoni della propria mente potrà salvare la piccola Aprile ed evitare nuove morti…

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Non ho letto molti thriller nella mia vita, fra gli ultimi che ho apprezzato La ragazza del treno di Paula Hawkins, Piemme (con qualche riserva sul finale, che avevo indovinato un bel po’ prima) e Il buio dentro di Antonio Lanzetta, La Corte. Diciamo che, però, il mio amore per Dylan Dog (di cui Barbara Baraldi è una delle sceneggiatrici) mi ha fatto partire avvantaggiata con la lettura di Aurora del Buio, vi ho infatti riconosciuto subito “il tocco” di Barbara, quell’atmosfera lontana e vicina (soprattutto per l’ambientazione, che è italiana ma ricorda per l’atmosfera i polizieschi americani alla True Detective, per citarne uno recente), una caratteristica che troviamo anche in Dylan Dog (ambientato a Londra, ma molto vicino alla nostra Italia nei concetti).

Ci sono storie che raccontano di luoghi infestati, di case in cui il male ha messo radici a causa delle tragedie che visi sono consumate, di spazi che di quel male sono stati ispiratori.

La scena si apre su Casa Ranuzzi, una dimora abbandonata che è stata lo scenario di un omicidio multiplo ad opera del Lupo Cattivo, il killer con la maschera che ha sterminato un’intera famiglia e ha poi riempito le pareti di casa sua con la terrificante frase:Tu non farai alcun male”. Le leggende e le storie attorno alla vicenda si sono moltiplicate negli anni e tutto fa pensare che la casa abbandonata nasconda ancora qualche segreto: una scintilla di male è pronta a divampare, a far rivivere vecchi incubi.

Aurora Scalviati, ex numero uno della polizia, è stata trasferita da poco in Emilia, proprio nella zona di Casa Ranuzzi. Che Aurora sia nel buio, lo comprendiamo subito: la sua vita è stata spezzata da una missione andata male, distrutta da due pallottole, una le ha portato via il futuro, l’altra ha cancellato la persona che era. Da quando si è rimessa in piedi, Aurora soffre di bipolarismo. I frequenti flashback la riportano indietro nell’incubo e il senso di colpa rischia di soffocarla ogni volta: Aurora incolpa se stessa per la morte del suo collega di allora e allo stesso modo sembrano pensarla tutti quelli che hanno a che fare con lei. Viviamo fin da subito il dramma di Aurora: se all’inizio ne siamo incuriositi come lo si può essere dalla parte più oscura dell’animo umano, mano mano che la storia va avanti, il dolore di Aurora diventa anche nostro, lo comprendiamo, riusciamo a percepirlo.

La ragazza con la cicatrice avvertì un lieve formicolio alla fronte e si toccò, temendo che fossero degli insetti. Li immaginò brulicare sul viso, intrufolarsi negli occhi e nelle orecchie, farsi strada attraverso la bocca e invaderle la gola. Si tastò con cautela, ma erano soltanto piccole perle di sudore ghiacciato.

Uno dei punti di forza del romanzo, in effetti, è proprio la sua protagonista: così fragile eppure così forte, allo stesso tempo coraggiosa e distrutta, una donna che combatte i suoi demoni ogni giorno, ma trova il tempo per affrontare anche quelli degli altri. Mi è piaciuta moltissimo: a primo impatto è confusa, aggressiva, fragile, una mina vagante, proprio come la vedono gli altri, ma non appena iniziamo a entrare nel suo mondo buio, Aurora ci appare per quella che è: la luce nascente del sole, una fiamma che diventa sempre più alta e potente, in grado di scacciare le ombre. Nonostante i traumi cui è sottoposta quotidianamente, infatti, Aurora è l’unica opportunità per prendere il serial killer: fin da subito, infatti, le sue osservazioni si rivelano corrette e più acute di quelle degli altri, il suo coraggio e lo spirito di osservazione (oltre che la testardaggine) la fanno diventare immediatamente essenziale per l’indagine. Eppure, sembra proprio che quelli che dovrebbero essere i suoi colleghi non facciano altro che metterle i bastoni fra le ruote, cercando in ogni modo di toglierle l’incarico: c’è qualcosa di oscuro e terribile anche fra la polizia? Il male ha attecchito anche dove dovrebbe trovarsi il bene?

Attraverso gli occhi di Aurora seguiamo le indagini su un nuovo, misterioso assassino, che uccide le sue vittime con una pratica violenta quanto misteriosa: il suo misterioso pick-up grigio compare ripetutamente sulla scena del crimine, ma l’uomo (o la donna) che lo guida, non viene mai presto. Le sue vittime presentano lunghi chiodi conficcati nel corpo e vengono trovate in posizioni particolari: che il serial killer stia provando a comunicare?
Lo sguardo di Aurora è preciso in alcuni momenti, sfocato e sofferente in altri, in questo modo l’autrice riesce a tenerci sempre sul filo del rasoio. Cosa è vero e cosa non lo è? Accadono davvero le cose che Aurora vede o è frutto della sua psicopatia? Il lungo percorso per arrivare alla verità è pieno di vicoli ciechi, paure ancestrali e tentativi falliti: Aurora è nel buio e deve imparare a viverci e a vederci, a distinguere la realtà dalla fantasia.

La pazzia non esiste. Nevrosi, disturbi della personalità, persino le psicosi possono essere scatenate da gravi eventi di natura traumatica. 

La messa a punto dell’identikit di ogni personaggio è accurata e complessa: Aurora, con la sua sofferenza e il suo coraggio, giganteggia sulla scena, ma anche il suo comprimario, Bruno, collega che la affiancherà nelle indagini (ufficiali e ufficiose), trova il suo spazio nella narrazione: anche il passato di Bruno è fatto di traumi violenti e rimpianti. Il legame che via via si andrà a creare tra i due è commovente e poetico, anche se poco spazio è concesso ai sentimenti positivi, incalzati continuamente da paura, sangue, dolore, in una corsa all’ultimo respiro. Tema ricorrente, proprio come in Dylan Dog, l’orrore del quotidiano. A volte, però, il muro di male  è sgretolato da cose semplici e pulite come l’amore, la fiducia, la solidarietà. L’amore, che nasce nel sangue e nel dolore, ma non si lascia corrompere dal male. La bravura della Baraldi si manifesta anche nella maniera in cui riesce a raccontare la personalità retroattiva di ciascun personaggio, attraverso i racconti di altri personaggi e i flashback della stessa Aurora, senza scadere in deviazioni che avrebbero potuto rallentare il ritmo. Gli eventi chiave e le micro sequenze, come digressioni e flashback, sono bilanciati perfettamente.

Parallelamente alle vicende raccontate attraverso il punto di vista di Aurora e, sporadicamente, quello di Bruno, si racconta una vicenda ambientata nel 1300, che coinvolge un frate-inquisitore che ha mandato (forse ingiustamente) a morte diverse persone e che deve convivere con gli incubi in cui i suoi condannati tornano per vendicarsi e lo spettro della morte che lo tiene in scacco: apparentemente le due storie non hanno nulla in comune, e invece passato e presente sono legati con un nodo strettissimo. Aurora dovrà individuare quel nodo e scioglierlo, se vuole salvare delle vite umane e la sua. Anche perché l’assassino sembra avere capito chi è e dove vive.

Padre Egidio giunse nella piazza principale della città, dove una folla variopinta e chiassosa era accalcata sotto il palazzo del Potestà, in attesa dell’esecuzione di alcuni condannati a morte.

Il ritmo narrativo è sempre sostenuto, ma diventa velocissimo alla fine: ho letto gli ultimi capitoli col cuore in gola e piena di ansia per le sorti di tutti i protagonisti. Lo stile suggestivo di Barbara Baraldi contribuisce a definire l’ambientazione generale, permette di respirare l’aria che Aurora respira, di percorrere le sue stesse strade, di sperare e soffrire con lei. Tutto sembra avvolto in una nebbia fredda e incolore, che rende le cose confuse, esattamente come sono per Aurora, all’inizio. Lo svolgimento dell’azione ha, come dicevo, un ritmo serrato: non ci sono momenti di pausa, si passa dall’Italia di oggi a quella del 1300, ai flashback di Aurora, con agilità: il nesso lo capiremo alla fine, ma s’intuisce che ogni dettaglio posto sulla scena dall’autrice merita attenzione, perché potrebbe essere la chiave. E così sarà.

La risoluzione del mistero e l’epilogo sono sorprendenti e lasciano il lettore spiazzato, prima che ogni tessera del puzzle vada al posto giusto: viene voglia di andare a ritroso a cercare gli indizi sparsi dall’autrice nel testo! Alla fine, resta il sapore agrodolce del passato, che non può essere cancellato, ma che può essere ricordato, e del futuro, terrorizzante e oscuro, ma anche luminoso, in qualche punto, soprattutto se ad affrontarlo non si è più soli.
Non so se Aurora tornerà, per raccontarci di altri demoni, ma io ci spero: nel finale c’è un dettaglio che lascia presagirlo. Bisognerà chiederlo all’autrice, nel frattempo io vi consiglio vivamente di intraprendere questa lettura: rimarrete sconvolti dalla facilità con cui queste oltre 500 pagine volino via. E ricordate: nessuno, in fondo, può uccidere il lupo cattivo, ma questo non vuol dire che non possiate battervi per farlo!

BELLISSIMO!
BELLISSIMO!

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