Non era una storia da tramandare.
Così la dimenticarono. Come si fa con un sogno spiacevole durante un sonno penoso.
Così dice Toni Morrison, scrittrice afroamericana Nobel per la Letteratura nel 1993, a chiusura del suo Amatissima, romanzo con il quale vinse il Pulitzer.
Una storia da dimenticare, troppo crudele, troppo violenta, troppo umana ma che non si lascia dimenticare, una volta conclusasi.
Amatissima è una storia di schiavitù, orrore e vendetta. A dispetto del titolo, l’amore è fustigato, fatto a pezzo, ridotto in cenere, proprio come i corpi dei negri schiavizzati. Giganteggia l’amore di Sethe, la schiava nera protagonista del romanzo, per i suoi figli, figli che perde uno per volta, che le sfuggono dalle mani come granelli di sabbia.
L’amore è l’inizio, la morte la conclusione, sempre. Il rancore, invece, veleggia tra le pagine del romanzo dall’inizio alla fine, come lo spirito avvelentato di Amata (Beloved in originale). E con il rancore di una bambina, una bambina che non c’è più, che si apre il romanzo:
Il 124 era carico di rancore. Carico del veleno d’una bambina. Le donne lo sapevano, e così anche i bambini. Per anni ognuno aveva cercato a modo suo di sopportare il rancore di quella casa ma, nel 1873, le uniche vittime rimaste erano Sethe e sua figlia Denver.
ATTENZIONE SEGUONO SPOILER SULLA TRAMA
Nel 1873 Sethe e sua figlia Denver, sfuggite alla schiavitù, vivono al numero 124 di Bluestone Road, in una casa infestata. Sethe e Denver formano un circolo chiuso, dall’equilibrio perfetto, non intaccato neanche dalla presenza della bambina-fantasma (la prima figlia di Sethe morta). Poi arriva Paul D, un ex schiavo con il quale Sethe condivide il terribile passato alla Dolce Casa, la proprietà dove entrambi hanno servito come schiavi e che di dolce non ha nulla: lì i negri hanno subito violenze inaudite da parte dei padroni bianchi. Da lì Sethe è fuggita, perdendo suo marito Halle, rimasto indietro per consentirle di andare via e salvare i loro figli. Paul D sconvolge l’equilibrio (precario) del numero 124, il fantasma se ne va, ma viene sostituito da una ragazzina ancora più inquietante, che finisce per dominare sul 124 e sui suoi abitanti fino alle estreme conseguenze.
Più Amata diventava grande e più Sethe diventava piccola, più gli occhi di Amata diventavano luminosi e più quegli occhi che non si abbassavano mai diventavano due fessure assonnate.
Amata diventa un’ossessione, corporea e incorporea, capace di spingere alla fuga Paul D (l’unico che era riuscito a dare una sorta di pace mentale a Sethe). Amata è il passato di Sethe che torna con un corpo, un corpo che diventa sempre più grande, che occupa sempre più spazio, crescendo contemporaneamente con il suo spirito. La presenza di Amata si fa così ingombrante che Sethe scompare, preda del rimorso e la verità, che emerge poco per volta, diventa allora orribile: Sethe, in fuga dalla Dolce Casa assieme ai suoi figli, viene raggiunta dal padrone. Per evitare che anche i suoi figli vengano catturati e torturati come schiavi, Sethe decide di ucciderli. Ci riesce solo con la prima, Amata, appunto. E il rimorso per ciò che ha fatto la perseguiterà fino alla fine dei suoi giorni. Il crimine più orribile di cui un essere umano possa macchiarsi, l’infanticidio, è reso ancora più orribile dal fatto che l’assassina è la madre, una madre che ama talmente tanto i suoi figli, da non sopportare l’idea che siano altri ad ucciderli. Vuole farlo lei, giustificando l’azione come un “estremo atto d’amore”. A causa di questo, Sethe viene allontanata da tutti.
Il tema dell’infanticidio è il nucleo più cupo e reale del romanzo: un’idea nata da una notizia di cronaca in cui Toni Morrison si era imbattuta durante le sue ricerche. Tutto ciò che si sviluppa attorno, dipinge in maniera indimenticabile l’orrore dello schiavismo, il distacco profondo fra mondo dei neri e mondo dei bianchi (che pure s’incrociano costantemente, benché nel romanzo siano ben separati) e l’oscillare perpetuo dei sentimenti umani fra picchi di odio e baratri d’amore.
I bianchi credevano che, qualunque fosse la loro educazione, sotto ogni pelle scura si nascondesse una giungla.
Ma il colore della pelle, per tutto il romanzo, scompare. I fantasmi non hanno colore. Il passato non ha pelle. Il colore, la pelle, il sangue sono cose da uomini, non da negri e non da bianchi, da uomini e basta. Ci sono negri buoni e negri cattivi, come ci sono bianchi buoni e bianchi cattivi. Bontà e cattiveria non sono nascoste sotto la pelle, ma sono determinate dalle azioni. Ci sono azioni buone e azioni cattive.
E ogni cosa può essere giudicata buona o cattiva a seconda del tempo e degli uomini.
Sethe uccide la sua bambina, che già “gattonava”, per sottrarla agli orrori della schiavitù (orrori che lei aveva provato e di cui porta le cicatrici indelebili). L’infanticidio è un orrore, ma Sethe è convinta di averlo fatto per amore. Non per “troppo” amore, come prova a dirle Paul D, perché il “troppo”, in amore, non esiste.
«Il tuo amore è troppo grande», disse. […]
«Troppo grande?» disse lei. […] «L’amore o c’è o non c’è. L’amore piccolo non è amore per niente.»
Questa è una storia da tramandare. E da leggere, sicuramente.