“Dovunque, nella vita, fra i suoi strati più bassi, induriti, ruvidi di povertà e ricoperti di squallida muffa, o in mezzo a quelli alti, fra la loro monotona freddezza e la noiosa uniformità, dovunque, almeno una volta, un uomo incontra sulla sua strada un’apparizione che non somiglia a tutto quello che gli è toccato di vedere fino a quel momento, un’apparizione che almeno per una volta desta in lui un sentimento che non somiglia a quelli che gli è stato dato di provare per tutta la vita.”
“Le anime morte”, Gogol.
Gogol piazza poesie come bombe, le fa esplodere in mezzo a eventi e personaggi surreali e mediocri, alza di colpo il registro, spiazza e lascia commossi. Ma allora il mondo non è poi così schifoso? E poi, l’istante successivo, la poesia viene derisa e banalizzata dal ritorno alla “monotona freddezza”, alla “noiosa uniformità”.
Il lampo di luce passa, Cicikov torna a pensare ai soldi. A noi, però, resta l’impressione che Gogol la vedesse quella poesia, la cercasse, ma non fosse riuscito mai a renderla più che un attimo, in un mondo così assurdo.