Oggi non vi parlo di un libro, ma di una serie TV: 13 (il titolo originale è 13 Reasons why), disponibile su Netflix da fine Marzo e che ho finito proprio ieri.
13 è una serie tosta, per l’argomento trattato: il suicidio di una minorenne causa bullismo. La serie è tratta dal romanzo di Jay Asher, che ho iniziato a leggere proprio ieri. A differenza di quella schifezza di romanzo che è Raccontami di un giorno perfetto (che ho recensito qui), in questa storia il tema del suicidio è trattato molto bene. In questo post farò una recensione della serie alla quale mescolerò qualche riflessione personale sull’argomento. Non ci saranno spoiler, quindi leggete tranquillamente anche se non l’avete ancora vista!
Una ragazza liceale, Hannah Baker, si suicida. Qualche giorno dopo un suo compagno di classe, Clay Jensen, trova un pacco sulle scale di casa; all’interno del pacco sono contenute tredici cassette registrate da Hannah in cui la ragazza spiega i motivi che l’hanno spinta a uccidersi, e Clay è uno dei motivi. Per scoprire il suo ruolo all’interno della storia della ragazza, Clay comincia ad ascoltare le cassette, ma così facendo rischia di scoprire uno sconvolgente segreto che coinvolge Hannah e alcuni suoi compagni di scuola.
Hannah Baker aveva diciassette anni quando si è suicidata, senza lasciare alcun biglietto. In realtà, Hannah ha lasciato molto di più: tredici audiocassette che raccontano le ragioni della sua morte, una testimonianza destinata ai carnefici di Hannah, protagonisti di ogni audiocassetta. Fra questi c’è Clay, che è rimasto profondamente scosso dal suicidio di Hannah, della quale era diventato amico. Non sa cosa può averle fatto, perché con lei si è sempre comportato bene. Almeno crede.
Non voglio svelarvi altro della trama, se non dirvi che questa è una di quelle serie che, nonostante i piccoli difetti, crea dipendenza raccontando una storia atroce che vi farà sentire profondamente impotenti e anche un po’ colpevoli. Perché sì, tutti siamo stati vittime e anche un po’ carnefici.
La teoria del caos: un ragazzo scatta una foto imbarazzante, una ragazza si suicida un anno dopo
Questa serie racconta di come da un piccolo evento possa scatenarsi una reazione a catena che può portare a conseguenze estreme e imprevedibili.
Hannah inizia proprio così la sua storia: una foto scattata fuori contesto e dunque interpretabile in maniera ambigua dà il via a una lunga sequenza di torture che Hannah dovrà subire a scuola. É facile, per una ragazza carina, diventare l’oggetto delle attenzioni invadenti dei maschi che credono di poter ottenere quello che vogliono da una ragazza bollata come “facile”. Le femmine non sono meno crudeli: è irresistibile la voglia di fare fronte comune contro il debole bersaglio designato, per sentirsi meglio. Nessuno vuole fare la vittima: il ruolo di bullo è preferibile.
Non si puoi mai sapere con certezza che tipo d’impatto ognuno di noi può avere sugli altri. Spesso, non ce ne rendiamo nemmeno conto. Eppure questo impatto esiste ecco…
La mancanza di dialogo
L’altro punto sottolineato dalla serie, è l’incomunicabilità. Il bullismo esiste anche perché è difficile parlarne, la vittima quasi sempre resta vittima, si vergogna, non sa quali parole usare per descrivere ciò che le succede. Allo stesso modo, gli adulti (genitori, professori) trovano difficile cogliere i sintomi, perché è sempre complicato entrare nel mondo degli adolescenti, ragazzi che, il più delle volte, sono talmente spaventati da preferire il silenzio.
I bulli sono ragazzi che hanno bisogno d’aiuto
I bulli sono ragazzi che, a loro volta, hanno traumi, mancanze, solitudini non raccontate e che trasferiscono la loro frustrazione sui più deboli. Non sono “i cattivi” e basta, sono fragili, spezzati, devono essere aiutati. Non vengono scusati, né il bullismo viene trattato in maniera dolce: è reale, crudele, senza sconti. Ma esiste: quindi inutile nascondersi. Questi ragazzi esistono e hanno dei problemi a volte molto gravi.
La solitudine è una ferita aperta
Si sottolinea molto il concetto secondo cui ciò che porta davvero il ragazzo alla depressione e al suicidio in casi estremi, è la solitudine: esseri soli, non avere un supporto per affrontare gli insulti, le prese in giro, ecc. fa credere al ragazzo di non avere alcuna speranza. Una parola non detta è un ferita che continua a sanguinare, per questo gli autori hanno voluto sottolineare più volte l’idea che siamo tutti responsabili, con le nostre azioni o non azioni, della vita degli altri. Il liceo può essere un’esperienza magnifica da ricordare, piena di amici, amore e sogni o può essere un incubo buio e senza fine. Non possiamo voltare il viso, dobbiamo capire fino in fondo i sintomi che abbiamo davanti. Non solo gli adulti, ma anche e soprattutto i ragazzi.
Vorrei morire… Ci ho pensato tante volte anch’io. Ma è una cosa difficile da pronunciare ad alata voce. Ed è ancora più terribile renderti conto che forse lo vorresti davvero
La tensione è sempre molto alta e questa è proprio una di quelle serie che inducono al binge-watching: il bullismo è trattato con uno stile da thriller psicologico, perché in effetti è proprio quello che è. La parabola del personaggio di Hannah è trattata molto bene, prima è solo ragazza timida in cerca del suo posto nel mondo, poi una ragazza spaventata da quello che le sta succedendo che prova in ogni modo a inserirsi, poi una ragazza arrabbiata che non si fida più di nessuno, infine il crollo nel nichilismo e nella depressione più profonda. Anche il personaggio di Clay mi è piaciuto abbastanza, anche se in alcuni punti le sue azioni mi sono sembrate poco realistiche (per esempio il suo insistere per farsi giustizia da solo e il fatto che ci ha messo una settimana ad ascoltare tutte le cassette, chiunque altro l’avrebbe ascoltate in una notte, come in realtà capita nel libro). Ho odiato, invece, la madre di Clay: è proprio la tipica madre apprensiva e distratta, che soffoca i figli con domande imbarazzanti e poco pertinenti e non si accorge di cosa stia capitando loro.
In ogni caso, comunque, una serie che merita davvero di essere vista.
“Le toilette sono il solo angolo di questa maledetta scuola dove sono sicura di stare tranquilla. Riuscire a risparmiarmi un quarto d’ora di supplizio rende la mia giornata meno insopportabile. Purtroppo, questo momento di pace dura sempre troppo poco”.
Non è una citazione dalla serie, questa: è una frase tratta dal diario di Emilie, 17enne francese che amava gli animali e voleva diventare veterinario e che invece si è gettata dalla finestra nel 2015.
Julia aveva 18 anni quando si è impiccata.
Carolina aveva 14 anni quando si è buttata dalla finestra.
Storie vere, storie di dolore, torture, ma soprattutto di vergogna e solitudine. Se una soltanto delle cose fosse andata per il verso giusto, Hannah sarebbe ancora viva. Tutte le Hannah del mondo sarebbero ancora vive.
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